C’è un luogo di una romanticheria unica a Milano. È un luogo dove potrete preziosamente concedervi una piccola, magica passeggiata, in un fazzoletto di verde, verde di qualità, che vi farà dimenticare per un attimo di essere a Milano. E in pieno centro per giunta. Ma d’altra parte – e in queste pagine non ci stancheremo mai di ripeterlo (piuttosto sarete voi a rompervi la minchia con siffatte reiterazioni, ma vi ricordo che gli Antichi, gente che se ne intendeva, dicevano sempre: ripetita iuvant) – Milano è anche, e soprattutto, questa.
Milano
è anche, e soprattutto, questa.
Milano
è anche, e soprattutto, questa.
Milano
è anche, e soprattutto, questa.
Milano
è anche, e soprattutto, questa.
Milano
è anche, e soprattutto, questa.
Ok
può bastare. Procediamo.
Il
sito magico e insolito di cui stiamo parlando è l’Orto Botanico, una delle
cinque istituzioni che animano, occupano e riempiono di bellezza il distretto
caldissimo di Brera: Pinacoteca, Accademia, Osservatorio Astronomico, Biblioteca
Braidense (un altro luogo meraviglioso, di cui prima o poi diremo) e, appunto,
l’Orto Botanico, con tutte le sue sorprese.
Si
tratta anzitutto d’un giardino molto antico, costituitosi nel 1774 con una
precisa finalità didattica e formativa, vero e proprio strumento ‘vivente’
utile all’insegnamento delle scienze botaniche per gli allievi del ginnasio di
Brera, che allora, sotto la dominazione austriaca, era appunto un collegio, in origine gesuitico e pubblico poi, divenuto tale in seguito alla soppressione del
potente ma avversato ordine religioso fondato da Ignazio di Loyola.
Durante
l’amministrazione francese l’orto botanico mutò pelle come cambiò il gusto
dominante, e da funzionale aula didattica all’aperto si trasformò consapevolmente
in una ricca e piacevole passeggiata costellata da specie esotiche ornamentali,
cosa che ne incrinò l’impiego meramente didattico. L’orto subì in seguito un
periodo di vero e proprio abbandono, sino a risorgere, in tempi moderni, come
istituzione dal doppio volto: museo botanico scrupolosamente catalogato, in uso
all’Università degli Studi di Milano, e locus amoenus per chiunque decida di
farvi approdo con l’obbiettivo di deliziare occhi e cuore alla vista della sua generosa
tavolozza di verdi; raccogliendo così le due passate eredità, di strumento
didattico nonché di sorprendente giardino, isola di pace nel cuore della città.
È
proprio questa avvincente dicotomia ad informare l’Orto Botanico, e a
costituire il carattere precipuo della sua bellezza, che lo rende, decisamente,
non un giardino qualsiasi.
Una
croccante ghiaia riveste i sentieri bordeggianti le aiuole, rettangolari,
coltivate a piante aromatiche, cereali, fiori di tutti i colori e di tutte le
forme, erbe officinali, arbusti e ortaggi attentamente classificati, ciascuno
indicato da un cartellino su cui sono apposti il nome latino, derivato dalla nomenclatura binomiale del buon Linneo, la famiglia di appartenenza e, per noi dummies, il nome comune.
Potrete
farvi stuzzicare dall’odore appetitoso del rosmarino (in termini olfattivi dire
rosmarino è dire arrosto, non negatelo, drogati di Ariosto – e non mi riferisco
al letterato ma all’insaporitore da cucina – dico a te sorella! uscirai da questa spirale, ce la puoi fare, vedrai!),
da quello fresco della salvia, o da quello dolcissimo e delicato delle rose;
potrete giocare a cogliere – ammesso che come me non siate dei mioponi – le
mille sottilissime differenze tra le spighe di qualità differenti di grano,
scoprendo la forma dell’avena, che certo solo mangiando kinder cereali non
avreste mai potuto indovinare. Potrete commuovervi di fronte alla maestosità
delle magnolie e alla nobile e ragguardevole età del ginkgo biloba, e, se ci
capitate nel momento giusto dell’anno, potrete sorridere di come i papaveri
giochino a invadere, con i loro delicatissimi ma tenaci fiori rossi, le aiuole
destinate a tutt’altro… Ma si sa, del resto, che la casa è di chi la abita
(cit.).
L’Orto
Botanico offre insomma a ogni stagione uno spettacolo sempre nuovo, e assai
prezioso per chi voglia, da totale profano, apprendere qualcosina in più sul
multiforme e infinito mondo vegetale. Eppoi si possono fare degli ottimi
incontri: seguire i saltelli d’un merlo (del resto Al cor gentil rempaira
sempre amore, come appunto l’ausello in selva a la verdura), fare la conoscenza
con lo spaventapasseri addetto a salvaguardare l’aiuola a ortaggi, apprezzare
la frenetica attività delle formiche che incedono laboriose e indaffarate sui
petali vellutati delle roselline, mentre voi siete lì a non fare un cazzo, e le
state pure disturbando: non è bello stare a guardare chi lavora in effetti.
In
più, potrete sedervi in mezzo al verde, o su alcune belle panchine di legno
massiccio oppure sulle sedioline gialle che si fondono con grande poesia nel
paesaggio circostante, creando spazi di sosta e contemplazione perfetti.
Le
volte che sono stata all’Orto Botanico, approfittando di alcune fortunose
estensioni dell’orario d’apertura e visita, altrimenti un po’ stitichello, ed è
un peccato, sono veramente rimasta estasiata da questo ulteriore brano di
città, che non fa altro che riconfermarmi quanto sappia essere bella Milano, e
di quanti e quali colori possa tingersi. Passeggiandovi all’interno ho avuto
davvero la sensazione di essere finita in un quadro, in un altrove
misteriosamente slegato dal contesto – le vie del centro cittadino – che lo ospita.
Un luogo della scienza e della natura, della ricerca di didattica ma anche
della bellezza, la bellezza di quanto è sì bello ma anche buono, come lo sono cereali, verdura, aromi (abbiamo detto aromi,
aromi veri eh, non l’Ariosto!).
Ed
è proprio questo ad avermi insegnato l’Orto Botanico, negli sprazzi di seria lucidità
(quale lucidità?) che il cazzare con i miei compagni di viaggio, o anche da
sola, nella mia testa (che roba triste e terribile, lo so), mi concede: la
bellezza delle cose buone. La bellezza delle aiuole di rosmarino. La bellezza
delle sfumature delle qualità di salvia. E soprattutto, la bellezza,
impagabile, delle spighe di frumento. Sì, proprio delle spighe di frumento. Di
grano. Di quel cereale speciale e prezioso alla base della nostra alimentazione,
quel ‘crescente pane’ celebrato da Parini, il mio abate Parino, in un’immagine
d’altissima e condensata poesia. Parini che, peraltro, l’Orto Botanico doveva
conoscerlo bene, avendo a Brera praticato la sua attività di insegnante.
All’Orto
Botanico di Brera quindi, a Milano, nella mia città ricca di sorprese come
neanche un uovo di Pasqua, nella vertiginosa quantità di colture stretta e
raccolta armoniosamente in un giardino sì piccino, come se tutte le pianticelle
si dessero manforte a vicenda, in un sodalizio bellissimo e commovente, ecco
che si può trovare, oltre a mille, innumerevoli altre meraviglie: il pane. Il
pane e anche le rose. Che è poi un ottimo modo per ripassare le cose
fondamentali per la cui conquista dobbiamo sempre lottare.
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