mercoledì 20 maggio 2015

Cinquantamila sfumature di verde: l’Orto Botanico di Brera


C’è un luogo di una romanticheria unica a Milano. È un luogo dove potrete preziosamente concedervi una piccola, magica passeggiata, in un fazzoletto di verde, verde di qualità, che vi farà dimenticare per un attimo di essere a Milano. E in pieno centro per giunta. Ma d’altra parte – e in queste pagine non ci stancheremo mai di ripeterlo (piuttosto sarete voi a rompervi la minchia con siffatte reiterazioni, ma vi ricordo che gli Antichi, gente che se ne intendeva, dicevano sempre: ripetita iuvant) – Milano è anche, e soprattutto, questa.
Milano è anche, e soprattutto, questa.
Milano è anche, e soprattutto, questa.
Milano è anche, e soprattutto, questa.
Milano è anche, e soprattutto, questa.
Milano è anche, e soprattutto, questa.
Ok può bastare. Procediamo.

Il sito magico e insolito di cui stiamo parlando è l’Orto Botanico, una delle cinque istituzioni che animano, occupano e riempiono di bellezza il distretto caldissimo di Brera: Pinacoteca, Accademia, Osservatorio Astronomico, Biblioteca Braidense (un altro luogo meraviglioso, di cui prima o poi diremo) e, appunto, l’Orto Botanico, con tutte le sue sorprese.

Si tratta anzitutto d’un giardino molto antico, costituitosi nel 1774 con una precisa finalità didattica e formativa, vero e proprio strumento ‘vivente’ utile all’insegnamento delle scienze botaniche per gli allievi del ginnasio di Brera, che allora, sotto la dominazione austriaca, era appunto un collegio, in origine gesuitico e pubblico poi, divenuto tale in seguito alla soppressione del potente ma avversato ordine religioso fondato da Ignazio di Loyola.
Durante l’amministrazione francese l’orto botanico mutò pelle come cambiò il gusto dominante, e da funzionale aula didattica all’aperto si trasformò consapevolmente in una ricca e piacevole passeggiata costellata da specie esotiche ornamentali, cosa che ne incrinò l’impiego meramente didattico. L’orto subì in seguito un periodo di vero e proprio abbandono, sino a risorgere, in tempi moderni, come istituzione dal doppio volto: museo botanico scrupolosamente catalogato, in uso all’Università degli Studi di Milano, e locus amoenus per chiunque decida di farvi approdo con l’obbiettivo di deliziare occhi e cuore alla vista della sua generosa tavolozza di verdi; raccogliendo così le due passate eredità, di strumento didattico nonché di sorprendente giardino, isola di pace nel cuore della città.

È proprio questa avvincente dicotomia ad informare l’Orto Botanico, e a costituire il carattere precipuo della sua bellezza, che lo rende, decisamente, non un giardino qualsiasi.
Una croccante ghiaia riveste i sentieri bordeggianti le aiuole, rettangolari, coltivate a piante aromatiche, cereali, fiori di tutti i colori e di tutte le forme, erbe officinali, arbusti e ortaggi attentamente classificati, ciascuno indicato da un cartellino su cui sono apposti il nome latino, derivato dalla nomenclatura binomiale del buon Linneo, la famiglia di appartenenza e, per noi dummies, il nome comune.
Potrete farvi stuzzicare dall’odore appetitoso del rosmarino (in termini olfattivi dire rosmarino è dire arrosto, non negatelo, drogati di Ariosto – e non mi riferisco al letterato ma all’insaporitore da cucina – dico a te sorella! uscirai da questa spirale, ce la puoi fare, vedrai!), da quello fresco della salvia, o da quello dolcissimo e delicato delle rose; potrete giocare a cogliere – ammesso che come me non siate dei mioponi – le mille sottilissime differenze tra le spighe di qualità differenti di grano, scoprendo la forma dell’avena, che certo solo mangiando kinder cereali non avreste mai potuto indovinare. Potrete commuovervi di fronte alla maestosità delle magnolie e alla nobile e ragguardevole età del ginkgo biloba, e, se ci capitate nel momento giusto dell’anno, potrete sorridere di come i papaveri giochino a invadere, con i loro delicatissimi ma tenaci fiori rossi, le aiuole destinate a tutt’altro… Ma si sa, del resto, che la casa è di chi la abita (cit.).

L’Orto Botanico offre insomma a ogni stagione uno spettacolo sempre nuovo, e assai prezioso per chi voglia, da totale profano, apprendere qualcosina in più sul multiforme e infinito mondo vegetale. Eppoi si possono fare degli ottimi incontri: seguire i saltelli d’un merlo (del resto Al cor gentil rempaira sempre amore, come appunto l’ausello in selva a la verdura), fare la conoscenza con lo spaventapasseri addetto a salvaguardare l’aiuola a ortaggi, apprezzare la frenetica attività delle formiche che incedono laboriose e indaffarate sui petali vellutati delle roselline, mentre voi siete lì a non fare un cazzo, e le state pure disturbando: non è bello stare a guardare chi lavora in effetti.
In più, potrete sedervi in mezzo al verde, o su alcune belle panchine di legno massiccio oppure sulle sedioline gialle che si fondono con grande poesia nel paesaggio circostante, creando spazi di sosta e contemplazione perfetti.
Le volte che sono stata all’Orto Botanico, approfittando di alcune fortunose estensioni dell’orario d’apertura e visita, altrimenti un po’ stitichello, ed è un peccato, sono veramente rimasta estasiata da questo ulteriore brano di città, che non fa altro che riconfermarmi quanto sappia essere bella Milano, e di quanti e quali colori possa tingersi. Passeggiandovi all’interno ho avuto davvero la sensazione di essere finita in un quadro, in un altrove misteriosamente slegato dal contesto – le vie del centro cittadino – che lo ospita. Un luogo della scienza e della natura, della ricerca di didattica ma anche della bellezza, la bellezza di quanto è sì bello ma anche buono, come lo sono cereali, verdura, aromi (abbiamo detto aromi, aromi veri eh, non l’Ariosto!).
Ed è proprio questo ad avermi insegnato l’Orto Botanico, negli sprazzi di seria lucidità (quale lucidità?) che il cazzare con i miei compagni di viaggio, o anche da sola, nella mia testa (che roba triste e terribile, lo so), mi concede: la bellezza delle cose buone. La bellezza delle aiuole di rosmarino. La bellezza delle sfumature delle qualità di salvia. E soprattutto, la bellezza, impagabile, delle spighe di frumento. Sì, proprio delle spighe di frumento. Di grano. Di quel cereale speciale e prezioso alla base della nostra alimentazione, quel ‘crescente pane’ celebrato da Parini, il mio abate Parino, in un’immagine d’altissima e condensata poesia. Parini che, peraltro, l’Orto Botanico doveva conoscerlo bene, avendo a Brera praticato la sua attività di insegnante.

All’Orto Botanico di Brera quindi, a Milano, nella mia città ricca di sorprese come neanche un uovo di Pasqua, nella vertiginosa quantità di colture stretta e raccolta armoniosamente in un giardino sì piccino, come se tutte le pianticelle si dessero manforte a vicenda, in un sodalizio bellissimo e commovente, ecco che si può trovare, oltre a mille, innumerevoli altre meraviglie: il pane. Il pane e anche le rose. Che è poi un ottimo modo per ripassare le cose fondamentali per la cui conquista dobbiamo sempre lottare.













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