lunedì 4 agosto 2014

Lo spettacolo della morte: la cappella di San Bernardino alle Ossa


Ma interrompiamo per un attimo il gioviale racconto d’una città ariosa, tutta parchi e delizie che ho vergato sinora, per affrontare un brano mediolanense un tantinello più complesso, sicuramente meno immediato nel piacere che potrà generare nel visitatore, ma non per questo meno affascinante. Affascinante come tutte le cose che producono conoscenza, e che stimolano conseguentemente un pensiero, un’opinione, e dunque una presa di posizione, tramite in questo caso l’esperienza d’un vivido scuotimento emozionale capace di irraggiarsi alle papille gustative cerebrali; col valore aggiunto d’essere un’acquisizione preziosamente maturata sul campo, e non desunta dai libri. Un piacere di tipo storico insomma. Tutta questa fumosa introduzione per dire in soldoni che stiamo parlando della chiesa, anche questa centralissima come San Satiro, di San Bernardino alle Ossa, e d’una sua appendice architettonica.

La prima volta che ho visitato San Bernardino ero da sola. Era una scura mattina d’un freddo inverno milanese. Ne venni a conoscenza grazie a una mia cara zia, che di ciò ringrazio, e che si chiama zia Grazia (avevo voglia d’allitterare). Così mi dissi che avrei dovuto per forza farci un giro. Rigorosamente da sola però: senza distrazioni, battute, alleggerimenti. Una bella prova di coraggio per me, che ho la spavalderia grossomodo di un coniglio nano.
E questo perché lo spettacolo al quale s’assiste una volta percorso sino in fondo il corridoio a destra, indicato da un cartello con la scritta ‘Ossario’ e relativa freccia, può legittimamente impressionare e risultare inquietante.
Preceduta da un atrio rettangolare e accessibile dopo aver salito qualche gradino, la chiesa, ricostruita nel 1712 a seguito d’un incendio, possiede un aspetto piuttosto chiaro e luminoso. La nota lugubre e orrorifica è però anticipata dalla statuetta d’un neonato abbigliato di trine, dall’espressione vuota e fissa, un po’ come certi manichini della parte chinatown di Milano; anche se probabilmente detta statuina ha un più nobile e prossimo parente nel bambinello dell’Aracoeli di Roma Capitale, anch’esso infagottato di merletti e spaventosità.  Ma che gli viene in mente a ‘sti chierici, dico io. È poi volgendo verso destra che si intravede il secondo appetizer dello spettacolo scary che si intravedrà più oltre. Una parete di ex voto metallici, appesi in teche di legno e velluto, immancabilmente a forma di cuore, con la tipica punta inclinata; un oggetto che, confesso, mi impressiona sempre un po’, per l’odore acre che sprigiona di superstizione e Controriforma. E infine eccolo, in fondo al corridoio. Ciò che motiva la denominazione “alle Ossa” della chiesa. Il cartello e l’emerito custode, un mezzo clochard che staziona davanti all’edificio e che vi accoglie dandovi il buongiorno e indicandovi l’ossario con l’intenzione di ricevere un nichelino in cambio dell’informazione, non mentivano. Eccolo infatti, l’ossario. Quadrato, non particolarmente ampio ma nemmeno vivaddio particolarmente scuro, illuminato da qualche finestra di fortuna. L’ossario, con l’altare e le panche.
E alle pareti il motivo per cui molto probabilmente siete venuti al Verziere. Nicchie riempite di ossa umane trattenute da grate. Ossa disposte non a muzzo ma con ragionata precisione, assecondando un progetto decorativo evidente. In ogni nicchia, al centro, è realizzata, grazie all’accostamento dei teschi, una croce. Teschi uno sull’altro e uno accanto all’altro, con in mezzo un mare di vertebre. E non solo: scorrendo l’occhio verso l’alto, ecco ancora filari di teschi che corrono lungo cornicioni e scanalature prima della volta. E alle colonne, ulteriori ex voto intecati, e decorazioni di teschi e ossa affiancate a realizzare motivi ornamentali, in uno stile oltrebarocco, quasi con leziosità rococò. C’è pure il simbolo dei pirati, teschio e tibie incrociate! Ma che gli viene in mente a ‘sti chierici, ridico, numiddidio! E ci sarebbe veramente da chiederselo in effetti.
Ora, sulla provenienza delle ossa circolano diverse voci. Qualcuno ama raccontare che siano appartenute a deliquenti e briganti giustiziati; ma con maggiore probabilità si trattava invece delle spoglie dei defunti del vicino Ospedale del Brolo. Ancora l’annoso problema dei mediolani che non sapevano dove smaltire i corpi dei morti della città? Bè, non in questo caso. Non è conservazione questa. È gusto decorativo, certo un poco dubbio forse. Dubbio, già, sfido a dire il contrario. Dubbio ma non affatto inedito, nella storia degli edifici di culto cattolici. Resti umani incastonati a prefigurare l’ascensione e il trionfo delle anime raccontati dall’arioso affresco della volta, opera di Sebastiano Ricci (1695), un trompe l’oeil illusionistico tra angeli e putti, messo lì a rianimare l’occhio e l’animo dell’osservatore avvilito da questo insistito e debordante memento mori.

Bon, che effetto fece a me vedere l'ossario quando fu che c’andai per la prima volta, solina, in una mattina brumosa d’un deserto giorno feriale? Apparte che mi fece più impressione l’attigua chiesa di Santo Stefano, scurissima quasi da non percerpirne visivamente l’altare, ma questa è un’altra storia, ma se si esclude un signore non esattamente in sé che con una vissuta sportina di plastica tipo supermercato se ne stava in un angolo dell’ossario a salmodiare versi incomprensibili in una lenta nenia a bassa voce e con gli occhi chiusi, la mia reazione non fu di spavento, orrore o raccapriccio. Ma di pena. Per quelle povere ossa costrette all’esposizione perpetua. Per l’inciviltà d’un destino post mortem non scelto ma imposto (vabbè ch’eran tempi che pure il destino pre mortem era piuttosto, come dire, indirizzato dalla Madre Chiesa). Per questi uomini e donne, anime forse non sante, forse peccatrici, addossate e costrette a far mostra di sé negli effetti prodotti dal lavorìo sottraente della morte, che restituisce di noi solo l’interno scarnificato (anche se c’è da scommettere che tale materiale umano abbia subito come minimo una bella spazzolatura per poter essere usato, alla maniera del solenne Balkan Baroque di Marina Abramovic). Uomini che un volto ce l’avevano eccome, diamine. E che forse non avrebbero gradito quella sorte. Anime costrette a fare sensazione, poiché questo era lo scopo in fondo. Per questo ogniqualvolta mi capiti di mettere piede nella cappella dell’Ossario di San Bernardino alle Ossa, a Milano, mi pervade un automatico senso di rispetto, e di solidarietà per quelle vite del passato, violate e trasformate senza scrupolo, dopo l’ora del loro ultimo respiro, in uno spettacolo visivo barocco, raro, d’effetto. Una sorta di pornografia della morte.  
Ma questo luogo milanese, calco d’altri sparsi in varie latitudini del mondo cattolico, rimane invito, ineludibile, a una riflessione che sollecita corde mentali più ascose, utili a conoscere meglio, e quindi a valutare, certe pratiche e soprattutto certe secolari istituzioni, nell’azione e nell’illimitato potere che hanno impunemente potuto esercitare nel diacronico snodarsi della Storia. L’oscenità di questo luogo, il suo raccapriccio, sta in fondo tutto qui.

Suggerimento per la visita
(Rubrichetta del a chi vuoi che gliene impipi)
Dunque ordunque, se vi va d’andarci, e sarebbe la prima volta, andateci da soli. Dopo portateci amico/collega/nonna/zio, ma appunto, dopo. È tutta un’altra cosa. Se non altro per godervi di sottecchi il terror e la soggezione negli occhi del vostro congiunto, che per un attimo forse vi odierà per averlo portato lì, ma poi non potrà far altro che amarvi, per tutta la vita, pensando che siete maledettamente ganzi a conoscere queste chicche!