lunedì 18 giugno 2018

Ti amerò per sempre (salvo complicazioni)


Ma è proprio vero, come dice la mia amica Marina (e non solo lei) che tutte le storie d’amore sono destinate a finire? A sfilacciarsi, a deprimersi, a svanire a poco a poco perdendo via via interesse e attrattiva nell’altro?
Insomma, queste non sono certo domande da poco.
Avete presente quella tristezza che prende certuni allorquando scoprono che qualche inossidabile coppia vip si è separata? Ecco, a me è successo. Quel mix di senso di incredulità e soprattutto di grande dilusione. “Ma come, lorooooo??”
L’ho avvertito acutamente quando è accaduto a una coppia soscial (veramente moooolto di nicchia eh) di mia virtuale conoscenza. Hanno smesso di pubblicare foto insieme, di festeggiare con la consueta tenerezza e discrezione i propri anniversari di matrimonio, di fare riferimento all’altro. Lei ha preso i gatti e ha cambiato casa, città, nazione.
E dire che la loro vita sembrava procedere così a gonfie vele! Un lavoro condiviso, molta creatività, bei viaggioni per il mondo. Lei aveva un blog in cui lui la ritraeva in mise vintage deliziose, a spasso per la loro città: ogni foto un atto d’amore sembrava. Foto bellissime, in cui lei pareva una dea tirata fuori dall’occhio di lui. In fondo fotografare è amare. Il soggetto lo si ama sempre. Richiede impegno: strizzare un occhio, aggrottare la fronte, infilare lo sguardo in un mirino minuscolissimo, decidere un’inquadratura, piegare le gambe, abbassarsi col culo de fora, contrarre gli addominali mollicci in uno sforzo mitologico, sollevare ben seicento grammi di reflex… ah beh certo, esistono anche i cellulari per fotografare, ma non siate troppo paraculi sù.
Però è così, si fotografa qualcuno quando lo si ama, e quando si ama qualcuno – azzardo il teorema – lo si fotografa: quale mamma o papà degni di questo nome non fotograferebbero il proprio piccino del resto?
Insomma diffidate di chi non vi fotografa mai, di chi non prende iniziativa in questo senso, di chi vi nega e si nega la creazione di un ricordo di quel vostro “qui ed ora”, il ricordo dei vostri vent’anni, o dei vostri trenta, o quaranta e così via… La vanità non centra nulla. Quella lasciate scorra a fiumi nei selfie sui social. Sono un’altra cosa. Vanitas vanitatum. Qui si parla di tutt’altro.

A me già solo per questo i due di cui sopra parevano una coppia splendida. Eppure è successo quello che è successo. Stalinianamente vi è stata un’epurazione delle foto a due. Il blocco di foto in seppia del matrimonio scomparso. Il blog è morto. Lei non la fotografa più nessuno. Solo due selfie tristi ogni tanto.
Lui non è più l’artefice della bellezza di lei.

Milano, vuoi forse dirmi che tra noi è andata proprio così? Che la nostra storia è finita, ha iniziato a disgregarsi sino a rovinare del tutto quando ho smesso di fotografarti?
Quando ho smesso di guardarti con gli occhi del fotografo, che sono occhi di innamorato, e mi sei parsa un banale contorno della mia vita?
È così che finiscono le storie?
Quando non si fotografa più, quando non si riesce a gettare l’altro nella sua migliore luce? Quando non ci impegna più a cercare la bellezza? È così che è andata tra di noi?

Ho smesso di essere tuo fotografo e dunque anche tuo innamorato. Non un fenomeno causa effetto, ma un processo simultaneo.

Eppure oggi sei piena di visitatori. Turisti. Stranieri. Sfilano per piazza Duomo già dal mattino presto e col mio sguardo grigio mi chiedo cosa vengano a farci e perché si agitino tanto.
Allora – penso – la tua bellezza esiste ancora. Perché non la vedo?
Troverò Milano, i fili per riannodare questo amore?

“La mia città era grigia e puzzolente, era fatta di asfalto e quando andava bene di mattone. Ora vedo la stupefatta reazione di chi ci arriva senza conoscerla. Comprendo la meraviglia. Appare come un luogo fatto apposta per sorprendere l’occhio insieme al passo del passeggio: e se solo fosse placata la sua ira ristrutturatrice, avrebbe in serbo per tutti una varietà di luoghi per il bel vivere che altre realtà si sognano. Già così la sua offerta è superba. La mia città era triste, era faticosa e pesante.”

Ma non è forse la nostra vita che è diventata così, triste, faticosa e pesante, fino a farci considerare tale il luogo in cui quella vita stessa, la nostra, si svolge?
Le parole più in alto sono sgraffignate da un libro bellissimo, Torino fatta ad arte, con disegni di Giacomo Soffiantino e testi di Dario Voltolini, entrambi torinesi.

Forse è così. Dovremmo sempre avere l’occhio del turista con la macchina fotografica (o il cellulare, ve lo passo) in mano. L’occhio e il cuore del turista.
Ce li avevo una volta, per Milano.
Poi li ho persi.

Ma sarà vero come dice la mia amica Marina, che tutte le storie d’amore finiscono?
Io però voglio riprovarci.
Milano, ricominciamo.

sabato 9 giugno 2018

Roma Pride 2018

Oggi a Roma c’è stato un bellissimo Gay Pride.
Purtroppo non ero presente in the flesh, ma col corazon ero lì sicuramente.
Financo Repubblica.it gli dedica ampio spazio, mortacci loro, ora che devono fare opposizione ai leghismi guarda cosa si inventano… prima figurati se i froci li mettevano in homepage.
Sono stata due anni fa al gay pride di Roma – e mi dispiace Milano cara, ma secondo me il pride romano dietro al carro delle frocie fuorilegge è qualcosa con cui tu non puoi competere.
Ho il ricordo di una giornata romana stupenda, piena di una luce primaverile che ha estratto le tinte migliori di ogni singolo colore in piazza, e ce ne erano parecchi.
C’erano cose stupende da guardare e cose normali, sneakers, sandali e tacchi venti con plateau di rinforzo, io con le mie ballerine color cuoio. Omosessuali, eterosessuali, trans, famiglie, mamme, papà, cani, bambini, creature affascinanti. Discorso finale dedicato a tutti i gruppi irrispettati del mondo, migranti, disoccupati, omosessuali, donne e uomini che desiderano una società diversa.
Quest’anno il Gay Pride era dedicato alla Resistenza, sarebbe stato un motivo in più per esserci, come mi piacerebbe essere presente alla manifestazione, prevista per sabato prossimo, dedicata alla memoria di Soumaila Sacko, il bracciante agricolo malese ammazzato mentre stava procurandosi delle lamiere fraciche per farci un tetto di fortuna (che fortuna eh) da una vecchia fornace abbandonata. Mi è d'uopo tra l'altro una riflessione collaterale, al di là della tragedia: ringraziamo questi imprenditori italiani che lasciano per il Bel Paese ruderi ex industriali senza smantellarli né bonificarli: grazie imprenditori graaaazie. In fondo Soumaila nel cercare con pochi mezzi di darsi una maggiore dignità di vita stava pure facendo un servizio ambientale utile alla collettività forse.
Non sarò lì, ma lì sempre con il cuore. Sempre. Sono tempi difficili per molti, figuriamoci per chi viene emarginato sistematicamente. È facile fare i forti con i deboli. Che ci vuole, riesce pure ai bifolchi anzi è la loro specialità.
Per tutto il resto c’è sempre una bellissima poesia, che ho potuto vedere calata nella realtà quando, nel mio fu posto di lavoro, le ripetute infrazioni al contratto di lavoro e al patto economico tra il padrone e noi sfruttati si allargarono progressivamente a macchia d’olio venendo a coinvolgere non solo noi, che eravamo l’ultima ruotina del carro, ma anche chi sembrava occupare i posti più protetti e alti della gerarchia di questo depressissimo ufficio. Costoro sino a quel momento erano stati indifferenti a tutto ciò che noi subivamo, forti per di più della convinzione di essere immuni dallo stesso trattamento… e ops! Questi personaggi hanno avuto gli ammanchi più pesanti. Licenziati a cinquant’anni dopo venticinque anni di lavoro. E io dovrei essere solidale con loro? Mi spiace, non sono certo cristiana, il maiale lo scanno per il figlio sgobbone, mica per quello che disinteressandosi a tutto ha dilapidato le fortune di famiglia (anche se Lapo Elkann batte quel damerino di suo fratello dieci a zero, lui è un'eccezione).

Ciò detto, la poesia, di dubbio autore, è la seguente, notissima, semplice e forte:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari,
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei,
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare

Essì, nell’ufficio che agii per sei anni andò proprio così. Noi non c’eravamo già più mentre si consumavano gli strappi finali, i peggiori, tra gli ultimi rimasti.

Insomma, il punto è collegare le lotte, lottare insieme, sentirsi parte di quell’umanità dotata di spessore e che rende giustizia davvero al vocabolo che la designa.
Per questo oggi ero col cuore a Roma, in un’altra stupenda giornata di fine primavera piena di voci, sguardi, e di ogni sfumatura del cuore.

Ringrazio i due anonimi soggetti per essersi generosamente prestati al mio obiettivo in tutta la loro generosità di forme


martedì 5 giugno 2018

Money: get back ✔ - (and keep your hands off of my stack)

Learn learn my friends
from the working class
they don't give up
they never give up
(One Dimensional Man, A crying shame)


Il cartonato a grandezza naturale di Antonino Cannavacciuolo attaccato alla vetrina mi guarda con una certa soddisfazione complice. Mi sentivo osservata infatti!
Sono alla Mondadori di piazza Duomo e sto bevendo un cappuccino di soia (sto invecchiando, I know, problemi di lattosio, enzimi, etc etc) che mi ha offerto l’ATM: oggi acquistando i biglietti alla macchinetta ci ho trovato una monetona da due euro dentro, il resto che qualcuno non ha preso.
Quando si trovano soldi per strada, si dice, altri soldi sono in arrivo. E in effetti... Mi è arrivata oggi la liquidazione di quel poco che ho lavorato con contratto regolare. Azienda fallita, retribuzioni perse, ammissione al passivo, contenzioso. Richiesta all’Inps di accedere al fondo di garanzia, per recuperare gli spicci del mio Tfr. Vai tu a capire perché, quando un imprenditore dei miei stivali lascia un buco da cinque milioni di euro deve rimetterci la collettività. Quella stessa che lui ha fregato, fregando non solo i dipendenti, ma ammancando pure l’erario per quattro milioni dei cinque di cui sopra. Un bel bingo vero?
Meno male, diceva Renzie, che gli imprenditori sono “eroi del nostro tempo” (cit. ). I miei eroi sono altri. Le persone solidali, la gente che non rompe il cazzo, che fa rispettare (o crea) i diritti propri e altrui, i miei genitori, Anita Garibaldi, i partigiani.
No, questo micragnoso è un imprenditore col culo degli altri: ci siamo caricati di tutto al posto suo. Di rischio di impresa, di evasione fiscale, distrazione di soldi, truffe ai clienti, delle rate del leasing della sua macchina da ottantamila dindini. Di tutto ci ha caricati al posto suo. Meno male che la Manola, segretaria cessa con la voce da gallina, se la sbatteva lui. Figurati se ci toccava fare pure questo, brrrr.
Anyway, oggi è un gran giorno.
“Domani sono sul suo conto”, mi comunica l’avvizzita bancaria carica di grossa bigiotteria. E io penso che la somma che mi indica, il mio trattamento di fine rapporto, è forse pari al suo stipendio quindicinale.
Che bello averlo finito questo rapporto.
Alla fine sorprendentemente non mi sono fatta fregare più di tanto. E dire che ho rischiato. C’è chi ha perso trentamila euro. Qualcuno ci ha rimesso direttamente la vita. E giuro che non sto scherzando.
“Tu sei una persona brillante, troverai il modo di riciclarti” mi disse alle battute finali l’eroe di Renzy, un lunedì in cui riuscii a trattenerlo in ufficio per un’ora, durante la quale mi tolsi parecchi sassi, massi direi, dalle scarpe. Accennandogli anche all’ipotesi di una mazza chiodata (giuro). Obbiettivo di questa chiacchierata rilassata: recuperare, e in fretta, otto mesi di stipendio. Prima che qualcuno gli muovesse un’istanza di fallimento.
E ce l’ho fatta.
Quelli che non mi ha ridato lui li ho presi oggi. Sul conto domani.

Oggi si è chiuso un cerchio.
Si è chiusa un’epoca della mia vita.
Si ricicla l’umido caro Marco. Non io. Ma per fortuna oggi, dopo essere stata alla banca Ubi di via Manzoni, avevo dove andare per guadagnarmi da vivere. Un luogo che conoscevo anche da prima di questo fallimento tragicomico e ridicolo insieme.

Ma ci siamo riusciti - per quanto possono valere i soldi.
Il maltolto è tornato nelle debite mani.
Per cui oggi brindo a me che tengo in saccoccia la quietanza del magro ma dovuto pagamento.
E c’è pure Cannavacciuolo in cartonato che dalla vetrina della Mondadori, in questa splendente giornata praticamente estiva, mi sorride complice e con gli occhi mi dice "Ebbrav guagliò
"!
Io lo ringrazio e brindo a me sollevando la mia tazza.
Di cappuccino.
Di soia.
Un cappuccino un po’ finto, quello alla soia, un finto salutistico che quasi mi imbarazza dianzi alla larga e godereccia sagoma dello chef stellato... ma che ne vuoi sapere tu Cannavacciuolo, ora che ci penso ci ha pure la moglie vegana.