Cari strenui visitatori di questo languente bloggo, voi che imperterriti cercate di collegarvi di tanto in tanto dai vostri dispositivi mobile per vedere se bugnato ha aggiornato qualche rigo e invece macché, quest’oggi incignamo il 2015 con un post illustrante anch’esso, come gli altri che hanno preceduto, una nicchia di inattesa meravigliosità messaci fortunosamente a disposizione dalla città del biscione.
Con il pezzo che andrete a
leggere andiamo infatti a disvelare una perla, una perlina, della città di
Milano, che è difficile catalogare poiché costituisce un vero e proprio unicum.
Per questo guardare coi propri occhi lo spettacolo di cui si andrà a dire è
particolarmente emozionante.
Parliamo oggidì difatti
della superba e meravigliosa colonia di fenicotteri che popola la nostra città.
Esatto, fenicotteri, sì, come molti di voi già sapranno.
Passeggiare per corso Venezia
e poi entrare lateralmente meta via dei Cappuccini pregustando lo spettacolo è
già esaltante. Per quanto via bella assai di Milano, infatti, il detto corso è molto
trafficato. Ma basta entrare in una sua strada perpendicolare per assaporare la
quiete e il perfetto silenzio che si respirano tra le nobili residenze di via
Serbelloni, che offrono viste allo sguardo architettonicamente parecchio intriganti
– i palazzi più belli di Milano, signori, sono qua. Ma la sorpresa la trovate
dopo. La sorpresa la trovate al civico 9 di via dei Cappuccini, dietro a un
cancello nero con dettagli ocra. Una villa dalla facciata seminascosta dalle chiome di numerosi alberi, ma che
si intravede massiccia e sontuosa, vi si apre allo sguardo, affacciata su di un
cortile che la scosta dal bordo stradale. Qui
la quiete e il silenzio si vestono di qualche esile, dolce rumore: il rumore
dell’acqua di una fontana, quello zampillo rilassante che ognuno di noi
vorrebbe sentire in soggiorno, e invece guarda tu quante metropolitane dobbiamo
prendere per poterlo intercettare. Ché al massimo a casa si sente il rubinetto
che perde oppure, nella notte, il vicino che piscia. Ma ecco che, come al
solito, divago scrivendo cazzeite.
Infatti: torniamo
all’acqua. All’acqua e alla villa. La villa è Villa Invernizzi, blasonato
cognome del padre della certosa e della robiolina: esatto, la villa è proprio
loro, dei formaggiari. I quali, con l’eccentricità che i ricchi non si negano –
e perché dovrebbero in fondo, i soldi li hanno, e come ci insegna la troika
l’austerità è tutta per noi – hanno deciso di arredare il loro giardinone,
oltreché con quella fontana che noi appunto non possiamo permetterci, con un
gruppo di fenicotteri, una meravigliosa colonia di fenicotteri parcheggiata in
giardino. Anvedi. Del resto, quando ti capita di vedere fenicotteri, apparte
che nelle terribbili fantasie anni ottanta tornate in voga l’altranno,
fenicotteri veri intendo, e non dico a Milano eh, ma in generale? In tutta
franchezza: chi se la sente di raggiungere l’Asia Meridionale, sfatti come
siamo anche solo dopo un giro sulla 90? Ma soprattutto: chi ci ha i soldi? Ed
ecco che i signori Invernizzi, assecondando non si sa quale loro singolare uzzolo,
hanno creato questo unico e originale allestimento faunistico con esemplari di splendidi
phoenicopterus nel proprio giardino, collateralmente regalandone ai passanti, sbircianti
attraverso il fogliame delle siepi che corrono lungo il cancello, la visione.
Che è quella che infatti vi
suggerisco, un dì che siete da quelle parti, per andare a visitare la Gam, per
entrare al Planetario a riveder le stelle, o se siete semplicemente in giro a
bighellonare anche solo per bervi un caffè ai giardini di Porta Venezia.
Certo qualcuno potrebbe
considerare poco desiderabile questo mantenimento in stato di cattività delle
suddette bestiole; tuttavia il trattamento che ricevono è quello del classico
animale domestico, curato e nutrito (piuttosto direi è la vita dei gamberetti che si mangiano, e che conferiscono loro il colore delle piume, ad essere un tantino meno entusiasmante, come la mettiamo?). Vedo il verde, l’acqua, il cibo e lo spazio; non vedo gabbie, non
vedo sofferenze. O almeno ecco non più grandi di quelle d’un buon cervello costretto
a lavorare in un call center. Nella vita insomma quel che arriva arriva, te lo
prendi eccome (cit.).
Ma tornando alla nostra
visita…
Ok, potrebbe parere un po’
tristino in realtà questo spiare, quasi dal buco della serratura, guardando
attraverso le inferriate d’un cancello, noi poveracci, il giardino d’una villa facoltosa
per godere delle sue delizie; e forse cari amici del bloggo pure lo è un po’,
modello Nino Manfredi in Pane e cioccolata mentre guarda i biondi al bagno. Però
però… se, pur non abbandonando un senso politico delle cose, ci affidiamo a un
senso poetico (che in ogni caso mai va disgiunto dal primo), ecco che Villa
Invernizzi e il suo spettacolo di fenicotteri rosa dal piumaggio sfumato in
tinte vivaci, come il completo di Théo de Il paradiso degli orchi, ci appaiono
come una visione d’alterità, una venatura di questo paesaggio urbano che non ci
si sarebbe aspettati, una chicca, impensata, qualcosa per cui entusiasmarsi, meravigliarsi,
sorridere, in fondo. Sorridere. Perché quando al 9 di via Cappuccini ci vai per
la prima volta, e con le persone a cui tieni, si sorride, si sorride e si vede
nell’entusiasmo degli altri il riflesso del proprio. È quasi una cosa magica:
un gruppo di elegantissimi, sgargianti fenicotteri che incuranti, come fosse la
cosa più ordinaria del mondo il loro stare, qui, a Milano, e in quella
situazione, si nutrono, mangiano, stanno su una gamba e a volte su due,
immergono il muso nell’acqua e la
bevono, si acciambellano sul prato verde e riposano. Pazzesco. Ecco perché è
una cosa magica, poetica. Sono milanesi anche loro dopotutto. Fenicotteri di
Milano, che per quel poco e tanto che ci regalano sono in fondo un po’ di
tutti.