45°27'35.1"N9°12'20.2"E
Cari amici del bloggo,
finalmente rompiamo il silenzio in cui siffatto spazio virtuale era piombato
con un altro avvicente pezzo (?) tutto mediolano. Quando finalmente credevate d’esservi
liberati di bugnato, –zac! eccola tornare all’orizzonte come la donzelletta
leopardiana, con in dote il suo prodigo fascio di strùnzatelle meneghine.
Qual sarà l’argomento
scelto per questo nuovo pezzo? Trattasi miei affezionati amici della Rotonda
di via Besana, che costituisce un altro di quei luoghi milanesi singolari o per
meglio dire davvero unici. È luogo, finché ho avuto modo di ‘viverlo’, di
grandissima piacevolezza e quiete, a poca distanza dall’asse trafficato del
corso di Porta Vittoria.
La singolarità di questo
complesso, dalla storia piuttosto travagliata, si può constatare già guardando
le immagini offerte dal satellite di gùgol
(queste diavolerie moderne), cui potrete rapidamente accedere facendo clic su
quella sfilza di numeretti verdi che bugnato con tanta dedizione appone al di
sopra di ogni suo post: ebbene no cari amici, non sono numeri per giocare al
lotto, quelli fateveli dare dal bisnonno in sogno, ammesso che non vi
preferisca un inviso cugino, e non sono nemmanco tirati a caso: sono le
coordinate di longitudine e latitudine dei loci narrati in questo bloggo; pertanto
quelli quivi vergati son esattamente quelli relativi alla Rotonda di cui stiamo
parlando. Che è davvero rotonda: avete visto? Ma più che rotonda, essa possiede
un recinto dal perimetro sì circolare, ma decisamente ‘mosso’, superbamente
curvilineo, come se si trattasse di quattro morbide parentesi graffe
congiuntesi. E al centro, in mezzo all’erba, si apprezza un edificio a croce, a
x, di cui uora uora diremo.
Siete pronti per questo
nuovo tour da seduti della città di Milano, miei cari lettori pigroni ché al
massimo vi spingete all’Esselunga di viale Certosa per fare qualcosa di diverso? (Scherzo, i miei lettori sono tutti degli
appassionati e dotti esploratori, tempo e lavoro permettendo! eccomunque, nel suo piccolo, anche l’Esselunga di viale Certosa…)
La Rotonda della Besana ha
qualcosa di magico. È, come abbiamo preannunziato, un edificio del tutto
particolare tra le architetture milanesi, un unicum decisamente degno di una
visita. Questo suggestivo nucleo architettonico tardobarocco ha conosciuto nel
corso della sua storia plurime finalità, vivendo tante vite quante sono state
le sue destinazioni d’utilizzo. Una capacità reincarnatoria camaleontica, una
stratificazione funzionale che oggi si avverte tacita, sopita nel suo portico
circolare quieto e silenzioso.
La Rotonda della Besana nacque
infatti come cimitero, chiamato ad assorbire le spoglie provenienti dal vicino
Ospedale Maggiore, antichissimo nosocomio mediolano che poi altro non era che
l’edificio dell’Università Statale, la quale insomma come vedete faceva morti
già da allora. Ecco cosa c’era sotto a quella innocua erbetta verde: le
spoglie, si stima, di almeno centocinquantamila persone. Nel bel mezzo del
foppone sorgeva la chiesa di San Michele, con la sua pianta a croce greca,
sormontata da una cupola ottagonale: una distribuzione dello spazio differente
rispetto alla stragrande maggioranza dei luoghi di culto cristiani, dotati al
contrario di una pianta a croce latina provvista d’una navata principale più
larga e lunga del transetto con cui si interseca. Questa inusitata forma
architettonica, complice peraltro oggi l’assenza dell’altare, fa completamente
smarrire all’osservatore un punto focale utile all’orientamento. Che è già una
delle cose molto molto belle che si possono sperimentare alla Rotonda della
Besana.
L’effetto che si apprezza
‘dal di dentro’, è infatti quello di una vertiginosa e serrata sequenza d’alte
colonne scanalate, sormontate da capitelli decorati con ossa e quattro teschi
l’una, ad alludere con immancabile spirto barocco alla destinazione originaria,
cimiteriale, del complesso. Ma in verità a guardare in alto sembra quasi di muoversi
dentro a un apparato osseo, nel gioco reiterato delle volte forate a forma di
vertebre. In effetti ho sempre pensato che la Rotonda della Besana potesse
essere inserita di diritto in uno scary tour della città di Milano, insieme ad
esempio a San Bernardino alle Ossa, e alla Sala delle Cariatidi di Palazzo
Reale, tanto per cominciare.
Verso la fine del
Settecento, in conseguenza dell’ordinanza austriaca che prescriveva lo
spostamento dei cimiteri al di fuori dell’area urbana, il complesso perse la
sua destinazione originaria, la chiesa fu sconsacrata, e la Rotonda della
Besana divenne, in successione, caserma, fienile e addirittura lavanderia
dell’ospedale; finché, in epoca assai più recente, fu finalmente donata a
tutti, adibita a spazio espositivo per belle mostre temporanee: uno spazio
espositivo coi controcazzi, suggestivo e versatile nelle sue pareti chiare,
spazio aperto trasformato e definito ogni volta in qualcosa di nuovo. E questa è
stata la stagione della vita della Rotonda a cui ho più partecipato, affezionandomi
molto ai suoi spazi e alla sua tranquillità.
Poi che accadde?
Accadde che qualcuno volle
destinare questo edificio meraviglioso a divernir sede museale. E fin qui
direte: bello. Bello sì. Che ci hanno fatto? Un museo d’arte moderna?
Contemporanea? No? Un museo del design? No, esiston già del resto. Un museo di
fotografia? Un museo della città? Un museo del bottone, dell’ombrello, del
martello, del rastrello? Ebbene no miei cari. La Rotonda della Besana è
divenuta sede del MuBa, ossia il Museo dei Bambini (nooooooooooooooooooo!); il che mi ha naturalmente inibito dal farvi
ritorno.
Cioè attenti bene: non un
museo sull’infanzia, cosa che sarebbe stata senz’altro interessante, se non
altro perché siam stati tutti dei nani cagaminchia felicemente liberi dal
lavoro e dalle altre tragedie della vita adulta, no, proprio un ‘museo’ per i
bambini (a questo punto però qualcuno mi spieghi perché chiamarlo museo, di
grazia, quel poco di lingua italiana che conosco non mi aiuta a trovarvi una
logica). Praticamente un luogo ove concentrare una serie di attività destinate
ai più piccoli, attività didattiche, di gioco, di scoperta. Una cosa caruccia,
certo (ma come battere l’appeal del museo del rastrello?), però… non qui.
Eddai, alla Rotonda della Besana? Un luogo unico e affascinante come questo? In
un ex cimitero coi teschi che guardano dall’alto i vostri piccini? Date loro un’aula
della Triennale, perdio, son tutte quasi vuote, e poi vicino c’è pure un bel
parco, così dopo che i mocciosi han finito di fare i piccoli adulti al banchetto
possono correre al parco Sempione a fare le peggio fantastiche cose che fanno
giustamente e naturalmente i bambini quando si sciamannano all’aperto. Che poi ogni
museo di Milano possiede già e meno male, ché sennò sarebbe una lacuna e son
seria, degli spazi destinati ai piccini in visita: il Castello Sforzesco, il
Museo della Scienza e della Tecnologia, quello del Novecento, quello
meraviglioso in corso Magenta, il mio adorato Museo Archeologico, dove i bimbetti
possono improvvisarsi archeologi alle prese con scavi stratigrafici, scoperta e
catalogazione di reperti… E mi fermo qui ma l’elenco potrebbe continuare.
Insomma, questo mi pare un
ulteriore, drammatico e discutibile segno della bambinizzazione di Milano,
probabilmente con la convinzione già descritta dal buon Louis CK secondo cui “Every child is a star beyond the shiny sea”.
Ora, io mica voglio luoghi dove l’accesso sia consentito solo a gente uguale a
me (“Accesso riservato ad analfabeti di
ritorno con lavori dimmerda”), sia mai, anche perché chissà che brutta
umanità vi si incontrerebbe, uh, però buondio, tutto questo spazio destinato esclusivamente
signori, è questa la parola chiave per capire lo sdegno di bugnato, esclusivamente a famiglie e mocciosi in
luoghi unici, come la Rotonda della Besana e il giardino della Gam, unici
signori!, che dovrebbero essere di tutti e per tutti inizia francamente ad
essermi indigesto.
Quindi: ricordiamo i bei
tempi che furo. Quando la Rotonda della Besana la si sceglieva come meta prima
o dopo una passeggiata in centro, per darsi appuntamento, per leggere sulle
panchine che corrono lungo il suo meraviglioso porticato silenzioso, scandito
da una sequenza dolcemente ondulata di colonne, per chiacchierare o per
ascoltare musica, o ancora per godere della frescura dei suoi spazi,
preziosamente ombreggiati anche in piena estate. E poi ricordo le belle mostre
che vi ho visto: tra queste, quella splendida e ricchissima di Bruno Munari e
quella, una vera sorpresa, del pittore bosniaco Safet Zec, con i suoi quadri
dalle tinte accese ma agrodolci, nelle sue composizioni malinconiche quando non
dolorose, capaci di raccontare in modo assai poetico le ferite dell’abbandono e
dello scorrere del tempo, non solo sulle persone, ma anche sulle cose, sugli
oggetti…
Insomma, a questo edificio
così bello, così tranquillo, luogo d'anime per la sua storia e luogo dell'anima nella mia storia, mi legano vari ricordi: le immagini delle mostre
viste da sola e in compagnia, la sorpresa e la commozione esplosemi nel
quoricino per la sua deliziosa e perfetta bellezza, il rinnovato stupore, ad
ogni visita, per la sua monumentale originalità e per la sua storia, passata,
di camposanto protetto dal suo dolce recinto privo di angoli. Alla Rotonda
della Besana ho trascorso tanti momenti piacevoli, ho lasciato scorrer via in
chiacchiere lenti e oziosi pomeriggi primaverili e ho officiato i funerali
laici d’un piccione trovato morto nel portico, raccogliendo per lui una
margherita e affidandolo alle amorevoli cure del luogo. Che in fatto di cura
d’anime, di certo, se ne intende.
Il dettaglio da non
perdere
[Epico ritorno della rubrichetta del
a chi vuoi che gliene impipi]
Ora, anche se non siete
bambini, o lo siete inside ma la cosa
non è provabile perché comunque sia la vostra carta d’identità dichiara per voi
tutt’altro, io credo non si possa negare anche a chi non gode dello stato
d’infante di fare almeno un giro attorno a quella che fu la chiesa di San
Michele. E appunto: non perdete assolutamente, oltre alla meravigliosa
simmetria della struttura, sormontata dal suo esile e sottile campanile,
l’elemento architettonico decorativo ellittico nonché assai grafico che
sovrasta la porta d’ingresso, bordato, come portone e finestre, da un bel
fascione color crema: ripetuto per
sottrazione (è, difatti, un buco) anche all’interno, nello spazio tra una
colonna e l’altra, è una sorta di vero e proprio marchio di fabbrica dell’edificio,
ornamento modernamente stilizzato dello stile barocchetto che lo informa.