Avendo parlato di quella meraviglia che è il Museo Archeologico non si può non parlare di un altro luogo unico in Mediolanum, al Museo peraltro concettualmente e quasi fisicamente connesso: stiamo parlando delle rovine romane di via Brisa. Per me è un luogo imprescindibile della mia città, e non saprei spiegarne il motivo, forse perché di motivi ce ne sono più d’uno. Forse perché è magnificamente defilato e, se non hai ragioni per andarci, in via Brisa neanche ci entri, cosa che protegge questo luogo miracoloso dal passaggio delle folle. Forse anche perché, con una bella faccia da cül, ho cercato di far la splendida con un romano con l’argomento delle rovine romane milanesi, ed ha pure funzionato. O forse mi piace perché non posso nascondere che la mia vita si è rimessa in moto da qui, o in fondo mi piace perché questo luogo, questo piccolo, protetto, meraviglioso e insolito quadrato di città, è semplicemente bellissimo, e rappresenta una Milano che non sembra Milano ma proprio per questo è una Milano ancor più vera. La vera Milano. Che è quella che in questo bloggo si va cercando.
Le rovine sono ciò che
resta del palazzo dell’imperatore Massimiano, allorquando Mediolanum era la
capitale del Sacro Romano Impero d’Occidente; quello che decadde, come il Carlo
Maria Cipolla ci spiega con molto humour, perché la classe aristocratica romana
si faceva di piombo, molto piombo, piombo in quantità. Ma Mediolanum fu
città-guida in un'epoca (286-402 d.C.), seppur di poco, precedente, non ancora di declino, per cui
evidentemente deduciamo che i nobili mediolanesi non avessero ancora maturato in
maniera sì massiccia tali gusti alimentari un po’ discutibili e un tantino indigesti.
Ad ogni modo, nella
fattispecie, l’edificio di cui si ammirano i resti pare – pare – fosse quello
adibito ad usum termale, perché, tra tepidarium e calidarium, sappiam bene che
gli antichi romani amavano molto dilatarsi le vene coi bagni bollenti – e in
queste abitudini e relative conseguenze io sono una loro degna discendente (vero dottore che mi fai l’ecocolordoppler?).
Era inoltre poco più avanti da qui che si estendeva la parte finale del circo
(la cui torre, vi ricordo nel caso in cui non siate state attenti nelle puntati
precedenti, fu ‘riciclata’ come campanile del convento di San Maurizio); e il
circo era il passatempo principe degli antichi romani, che, come Angela padre e
Angela figlio sapientemente ci spiegano, ci avevano pure gusti un po’ sadici
nei loro divertissement. Ma cosa aspettarsi da gente che assumeva quelle
quantità di piombo.
Terme dunque, e circo: due
luoghi simbolo della civiltà romana. Qui, a Milano, ed è veramente meraviglioso
ciò che si apre allo sguardo entrando nella stretta viuzza di via Brisa da corso
Magenta, dopo aver superato la Drogheria Soana con i suoi interni fermi agli
anni Sessanta e le sue ipnotiche e stipate vetrine: un recinto di ferro delimita
i resti archeologici, che emergono logicamente a parecchi metri più in basso
rispetto al piano stradale (e comunque Milano è o non è, del resto, la città che sale?), dai mattoni rossi, mattoni
color mattone praticamente, in mezzo all’erbetta fresca e verde che li
circonda. Il mio sogno proibito, lo ammetto, sarebbe scendere e poterci
camminare in mezzo: credo che il mio piccolo quore esploderebbe di felicità, e
più volte, assistendo a manovre di giardinieri incaricati dal Comune di
manutenere il verde, loro sì autorizzati a scendere, e in possesso delle chiavi
del cancelletto, ho pensato finanche di corromperli a cedere l’esclusiva con
profferte di danaro… Un veloce calcolo delle mie liquidità mi ha tuttavia istantaneamente
dissuaso dall’azzardare la proposta. Ma un giorno, quando sarò ricca e abiterò nel
ficherrimo palazzo chiaro che si affaccia proprio sulle rovine (poi dicheno che
uno non deve essere invidioso perché fa peccato), oltre a godermele dal balcone
di casa durante la colazione, troverò il modo di avervi accesso con la classica
scusa della mutanda stesa ad asciugare scivolatami di sotto.
Ma tutto sommato è un bene,
e son seria, che non vi sia libero accesso a questo spazio. Ma non perché
trattasi di resti monumentali da proteggere – pur avendo in effetti a notare la
diffusione d’una invero poco comoda usanza di confezionarsi originali e
pesantissimi souvenir delle vacanze smontando sassi dalle aree archeologiche – o
comunque, non solo; quanto piuttosto per il fatto che essi sono la casa, magnifica
e degna, d’una colonia di gatti bianchi e neri, che ne sono i veri e legittimi
padroni, e che mi suscitano sempre interrogativi salingeriani, quando è freddo
e il suolo ghiaccia, su dove potranno andare a stare, come le anatre di Central
Park. Ed è giusto così. I gatti riescono ad avere un sentimento speciale per le
rovine antiche: se le prendono, ne fanno la loro dimora, e le riportano in
vita, a distanza di secoli, esattamente come accade a Roma. Sembra quasi una
cosa magica, ancestrale. E per questi mici dal pelo lucido che stanno sdraiati
sulle antiche strutture e vi passeggiano felpatamente in mezzo, senza fretta,
non si prova invidia, affatto, come se fosse così ristabilito, in questa loro
conquista, un ordine cosmico giusto, retto, incontrovertibile.
Insomma, le rovine romane
di via Brisa rappresentano per me un luogo speciale, che riesce a infondermi una
tranquillità che veramente pochissimi altri luoghi riescono ad offrirmi. È bello
fermarsi qui, in ogni stagione, col caldo e col freddo, di giorno, magari dopo
aver bevuto un cappuccino nelle tazze gialle del consigliatissimo bar El Canton
poco più avanti, vero bar milanese nel senso migliore dell’espressione,
piacevolmente old fashion, o di
sera, quando le rovine s’accendono d’un caldo giallo dorato di grandiosa
suggestione.
Ma in qualsiasi momento
vogliate raggiungere questo fazzoletto di terra solcato dalle vestigia d’una
civiltà che fu, vi accorgerete di avere a disposizione un luogo dove fermare lo
sguardo al di là d’una balaustra, come davanti al mare, o a un lago, nonostante
ahimè l’iperattività edilizia alle sue spalle, seguendo con gli occhi le curve
e le rette descritte dalle antiche fondazioni, per perdervi nella visione e
trovare, davvero, qualche prezioso granello di pace e di bellezza.
Un luogo di Milano, le
rovine romane di via Brisa, raccolto e silenzioso, e, come tutti i resti di
antichissime strutture, immoto e pacificato nel lungo cammino del Tempo, e
quindi capace di dispensare vera quiete. E questo, personalmente, non credo sia
poco.
Il dettaglio da non
perdere
[Rubrichetta del a chi vuoi che
gliene impipi]
Il dettaglio di cui di
seguito poco ha a che fare con i resti archeologici romani in sé, ma, sorgendovi
a pochi passi, possiamo dire completi il paesaggio di via Brisa. Percorrendo e
superando il perimetro delle vestigia si arriva all’incrocio con via Gorani e…
ci siete? Bene, guardate in su. Bravi, l’avete trovata: la terrazza quadrata
con piantato un ulivo, esattamente in cima a un palazzo chiaro, ma proprio in
cima eh. Una diapositiva da gomminodeltergilandia, verissimo, ma senza dubbio un
angolo di città insolito e da vedere. Eppoi, caro (?) Boeri, se non un bosco verticale un ulivo verticale prima di
quella doppia strùnzata che troneggia con le sue sterpi e le sue tristi
piastrelle nere in Garibaldi. Cioè: se lo godranno in pochissimi, magari due o
solo uno, ma ha molto più stile e soprattutto non finge d’esser verde per i
cittadini – pur costituendo per i cittadini una deliziosamente inconsueta visione. Tiè.