venerdì 26 settembre 2014

Il Museo Archeologico di Milano, giostra di meraviglie


Come già ivi anticipato, il Civico Museo Archeologico di corso Magenta 15, con il suo portalone barocco e l’ingresso verdino con l’insegna in ottone, è un luogo meneghino per me assai strettamente e delicatamente connesso alla nascita del mio amore per questa città.
La sua scoperta avvenne in solitaria, in un’estate un po’ tristanzuola in cui mi gettai in una disordinata ma vorace perlustrazione delle vie di Milano e dei suoi tesori; che seppero elargirmi, anche questo anticipato nel post d'apertura del mio seguitissimo bloggo, non poco conforto. E possiamo dire che il detto Museo Archeologico, spazio incantevole, giostra meravigliosa da affrontare con l’entusiasmo di quei piccoli cosi chiamati bambini, ampio ruolo ebbe in ciò, visti i ripetuti wow di stupore che disseminai durante la visita alle varie sale, facendo la figura dell’idiota al cospetto delle telecamere di videosorveglianza e di qualche sconcertato custode di turno.
E vediamone dunque i motivi, di questo amore, tutti importanti, tutti preziosi, ognuno un piccolo fuoco d’artificio esploso nel mio quoricino.

Innanzitutto stiamo parlando d’un distretto archeologico caldissimo per la Mediolanum che fu: e il pregio del Museo è quello di aver conservato una certa stratigrafia, che dà modo di vedere oggi, o quantomeno poter bene immaginare, cosa doveva esservi sorto un tempo. Tra via Nirone, corso Magenta, via Luini e via Brisa si ergeva infatti il palazzo imperiale di Massimiano, risalente all’epoca in cui Milano era capitale dell’Impero. E racchiusa dalle acciottolate mura massimiane era l’estesa struttura del circo, una torre del quale è sopravvissuta in quanto trasformata in campanile del monastero di San Maurizio, ricovero claustrale delle monache benedettine sorto nel corso del Cinquecento, che, detto ‘la Sistina di Milano’, merita però un capitolo a parte.
La torre, quadrata nei suoi mattoni rossi e nelle piccole aperture, si apprezza nella sua antica imponenza dal cortile porticato del Museo, che è al detto monastero perfettamente attiguo, nel senso che dall’uno si entra nell’altro e viceversa, il che è onestamente spettacolare; e io ancora non mi capacito di questa meraviglia, che è il motivo n° 1 per definire il Museo una vera e propria giostra. D’altra parte, quel che oggi è cortile del museo, era un tempo cortile del convento, luogo deputato alla fruizione dell’aria aperta da parte delle monache di clausura.
Un cortile porticato che è qualcosa di indescrivibile. Caspiterina, come si può descrivere tanta bellezza? L’hibiscus lilla che aggetta dal prato, il retro con il melo selvatico gravato dai suoi frutti, i resti di cornicioni antichi e capitelli accatastati per terra e striati dal muschio, le stele marmoree disposte lungo il portico, quasi un cimitero senza spoglie; e la seconda torre legata alla storia del museo: la torre poligonale, a ben ventiquattro lati, risalente all’epoca tardo-imperiale e appartenente al circuito delle mura della città, oggi raggiungibile da una comoda e salda passerella, mentre prima della recente, massiccia ristrutturazione del Museo, si dovevano affondare i piedi nel bagnato del prato e salire su una pericolante scala (emozionante anche quello a suo modo). Una meraviglia, la torre poligonale, basterebbe già questa a rendere Milano speciale. Al suo interno furono affrescate, in epoca medievale - testimoni della trasformazione da torre difensiva a cappella - scene religiose, con Cristo e una teoria di santi, tra cui Francesco raffigurato mentre riceve le stimmate, rappresentate sottoforma di lampi di luce; una scena quanto mai iconograficamente rara e affascinante, che possiede un che di bozzettistico. E il fatto che si tratti d'affresco d'epoca e gusto medievali è attestato anche dalla sinuosa decorazione a girali vegetali, che percorre a fascia la porzione di parete sottostante i santissimi. Ora all'interno della torre è stato posizionato un dormiente, di Mimmo Paladino, che solo soletto là dentro, con la sua faccia di creta sconquassata e senza volto, raggomitolato nella classica posizione fetale, fa pure un po’ paura, sembrando uno lasciato a crepare senz’acqua né cibo chiuso nella torre; ma credo che in effetti non vi sia luogo milanese più appropriato per dargli casa.

Alle spalle della torre poligonale, la cui sommità fa da punto di raccolta per vivaci rondinotti (uno spettacolo ipnotico seguirli nei loro voli di primavera), superando un antro ritagliato da un vecchio muro di mattoni, ecco l’accesso all’area nuova, esito più esplicito dell’intervento di ristrutturazione di cui sopra: un’architettura di vetro e acciaio, perfettamente internazionale moderno ma in miniatura, a misura, integrata nel contesto antico in cui è stata inserita, ondulata come il dormitorio della Baker House di Alvar Aalto (riferimenti a cazzo lo ammetto, mi avete scoperto), dove sono albergate le collezioni delle civiltà longobarda, etrusca, villanoviana e, all’ultimo piano, quasi un cammino verso l’Empireo, la sezione più nobile e bella, la mia preferita: quella greca. Con le loro meraviglie: il canopo con testa antropomorfa in legno di pero, splendidamente e miracolosamente conservato; i giocattoli dei bimbi, la bambolina snodata e animaletti; gli ori e la sublime arte metallurgica dei longobardi; i superbi bracciali di vetro; e poi i vasi bellissimi, in un’ampia gamma di forme vascolari, tra crateri, skyphoi, kantharoi, kylikes, coppe a occhioni, olpi e piccoli aryballoi, tutti con le loro minuziose e dettagliate scene mitologiche, o di vita quotidiana, di banchetto, palestra e allenamento degli atleti; e pure con qualche scena un po’ zozza (sulla quale però non dico nulla, ve la cercate da soli). E poi Lui, la commozione, la Felicità di quell’estate che faceva buio mentre fuori splendeva il sole, il pezzo da lacrima sommessa: un frammento di vaso attribuito a Euphronios signori, Euphronios, raffigurante Eracle con leontè: si guardi la cura strepitosa delle ciglia, della barba, l’occhio vispo e il tratto sottile tracciato da una mano sicura, come poteva essere solo quella del grande maestro delle figure nere… Lui o un altro non importa, nel mio quoricino io sono arciconvinta che quello, poche storie, sia proprio un pezzo di Euphronios! Che è poi un metodo scientificissimo per andare di attribuzione, il buon Bianchi Bandinelli andrebbe fiero di me.

Ed ecco che a ritroso – sì lo so, vi sto facendo fare un tour un po’ scombiccherato – riscesi i piani dell’edificio nuovo e dopo essersi ristupiti, a ogni livello, per la visione del paesaggio offerta dalla parete curtain wall, riattraversato il cortile delle meraviglie, siamo ritornati nella parte vecchia, dove prima erano accatastate le raccolte ora più ariosamente distribuite. Qui, nelle sezioni Mediolanum, è da non perdere un pezzone da novanta del Museo, il reperto dal nome complicato di coppa Diatreta Trivulzio, oggettino assai pregevole, di vero artigianato di lusso, adoperato come lucerna o forse come coppa per bere, come suggerisce l’iscrizione in elegantissimo bluette che corre lungo il vetro esterno, e che sembra essere una godereccia ed etilica esortazione: “bibe, vivas multis annis”: bevi se vuoi vivere a lungo. Bisogna seguire i consigli degli antichi, quindi beviamo! Io ad esempio bevo pure poca acqua, e non credo che i miei reni sian contenti.
Poi è bello qui scendere le scale sulla sinistra; e affrontare un altro, spettacolare giro di giostra:  “La sala è tutta sua. Si sbizzarrisca” sono state le parole di una dolcissima custode un giorno che coglionando il Comune di Milano ho optato per una visita mordi e fuggi durante l’ultima, gratuita ora di apertura. E ho tenuto fede all’invito: gustandomi prima il piccolo nucleo d’arte del Gandhara, con Buddha baffuti e belle dee dalle tette sode e prosperose; per poi rituffarmi nell’atmosfera romana, girovagando in una sala letteralmente tagliata in due dalle mura massimiane (non si può dire, lo si deve vedere); e percorrendo più e più volte, come se fosse un giro di giostra e anzi meglio, una passerella sopraelevata sovrastante una decorazione musiva pavimentale mediolana, rinvenuta in piazza Missori. Che meraviglia questa passerella, ogni volta che ci torno me la rifaccio saltellando un cifro di volte e con estremo sollazzo, per non smentire la fama di idiota al cospetto delle telecamere di videosorveglianza e di qualche sconcertato custode di turno. E non è questo, dicevamo, che l’ennesimo motivo per considerare il Museo una giostra emozionante.

Insomma, il Museo Archeologico di Milano è un luogo che non è solo un museo archeologico scientificamente valido ed avvincente, ma che è anche davvero un piccolo grande gioiello della città di Milano, misconosciuto, a torto sottostimato e sempre desertissimo, un luogo da vedere, da “provare”, da esperire nella sua articolazione avventurosa, da conoscere e da amare. Un luogo importante per Milano, scritto dallo scorrere dei secoli, che, strato dopo strato, lo hanno scolpito nella sua attuale, imperdibile e unica configurazione. Una passeggiata nel tempo, in bilico tra la Milano romana, medievale, cinquecentesca e attuale. La Milano che era, che è stata e che è.
Ed ecco perché qui ci ho portato e ci sono venute quasi tutte le persone del mio cuore, i punti luminosi della mia costellazione degli affetti, mutata negli anni a suon di defezioni più o meno amare, e di aggiunte dolcissime. Ecco perché: per tutti i motivi che ho elencato.
E quindi ecco signori, questa è la mia giostra, questa la mia promenade arquelogique in pieno centro, a Milano. Questo è il mio Museo Archeologico signori, e io Milano ho iniziato ad amarla da qua dentro.

Suggerimento per la visita
[Rubrichetta del a chi vuoi che gliene impipi]
Se durante la visita al Museo, complice l’arietta ghiacciata che si avverte nelle sale, che punzecchia birichinamente la vescica, dovete andare al cesso a svuotare la secchia, cercate di andarci nella parte nuova (quella ondulata come il dormitorio etc etc). Nulla di sconveniente nei bagni del vecchio edificio, ci mancherebbe, ma gli è che quelli nuovi son fighissimi, spaziosi, luminosi, e con visuali spettacolose dalle finestre, con affaccio sul cortile e sulla torre poligonale. Insomma, anche se non dovete pisciare io fossi in voi un giro dentro me lo farei.