venerdì 22 marzo 2019

Nato nel 2019


Catalogo dei viventi/2


“In reparto poi vedo queste ragazze, sui trent’anni, aspettano anche loro l’ecografia e sono tese, tese come una corda di violino. Ma io mi dico: bella, hai trent’anni, le chance ce le hai ancora. Se non va bene questa gravidanza ci puoi riprovare. Io a 48 anni se non prendo questo treno l’ho perso per sempre, eh”
In linea di massima ha ragione, però vorrei dire alla mia interlocutrice che magari anche qualcuna di quelle ragazze di trent’anni può avere un problema, un problema di salute, per cui aspetta con ansia il controllo. Ma decido di sintonizzarmi sulla *modalità empatia esclusiva per il mio interlocutore on*, e lascio perdere.
“Io a 48 anni o va bene questa o altrimenti niente”
“Eh hai ragione. Con tutta la fatica che hai fatto... speriamo dai”
“Sì. Ma sono stanca. Stanca. Sono al quarto mese e sono stanca. Angosciata. Non sento che si muove, non lo sento. Mi inquieta questa cosa di averlo dentro, mi inquieta. Vorrei che me lo togliessero e lo facessero crescere in un vaso di vetro, sul mio comodino, posso dirlo? Così lo vedo, vedo che sta bene e mi tranquillizzo.”
“Ma no dai! Sai che questa cosa c’è paro paro in un libro per ragazzi di tanto tempo fa? Non un romanzone eh, un libretto così, di narrativa, si chiamava ‘Nato nel 1999’. C’era il protagonista, Karl se non sbaglio, che nasceva in vitro. In una provettona, in cui degli scienziati avevano ricreato l’ambiente del ventre materno. Però lui alla fine era un po’ freddino eh. E siccome aveva qualche problemino emotivo poi, faceva una psicoterapia con ipnosi che lo riportava alla sua vita neonatale, e lui, che non sapeva niente del modo in cui era nato, estraeva solo come unico ricordo dei ‘visi che lo fissavano’.”
“Ma pensa tu”
“Sì, erano i visi degli scienziati che avevano partecipato all’esperimento. Per questo era un po’ freddino e anaffettivo. Vedi che ci vuole la pancia della mamma?” le sorrido.
Mi sorride anche lei. Guarda la panciona, già grossa, tesa su un vestito nero gigante di maglia e ci appoggia sopra le mani, una sotto e una sopra.
“Ma stai facendo foto della tua maternità? Il pancione che cresce...”
“No. Edoardo sarebbe anche un bravo fotografo... ma non ci pensa”
“Mannaggia... chiediglielo! Sarà bello per te e per il bimbo avere delle tue foto di questo periodo!”
“Hai ragione, non ci avevo pensato. Dovrò attrezzarmi”
“Ecco, brava.”
“A Edoardo non gliene frega niente. È solo noioso, fastidioso... È in piena adorazione dell’amante. Gli ho trovato una chat con un collega di ospedale sul cellulare in cui dice di lei: è una dea! “Con quel corpo e quello stacco di coscia”, testuale. Che poi è obesa eh questa qui, non sovrappeso, obesa eh. Di me invece ha scritto che sono intelligente ma sono la classica biondina slavata”
“...non so cosa dirti”
“Ma sì guarda. Si sta rivelando un pazzo totale... A volte arriva in piena notte dall’ospedale e mi dice che sono la donna della sua vita”
“Bè dai, state per avere un figlio insieme, accidenti”. Cerco di dissimulare il mio pensiero, lui è evidentemente un pazzo da cui fuggire a gambe levate e pure lei non scherza buondio. Però c’è un moccioso che deve nascere e io mi sento di voler essere incoraggiante.
“Sì, è vero. Non me ne fregava niente di avere un figlio, prima. Negli ultimi anni... non so cosa mi sia successo. Non ti dico che fatica. E prendi gli ormoni, fai gli esami... è anche una cosa economicamente non da tutti, io almeno lo potevo fare. Mi sono trovata questa donatrice di 23 anni... però il padre è lui. E spero di arrivare in fondo a sta gravidanza. Mi hanno già detto che dovrò fare il cerchiaggio probabilmente”
“Eh sì ho capito”
“L’utero di una donna di 48 anni praticamente si sta sfaldando, un cerchiaggio ci vorrà quando progrediremo nella gravidanza”
“Immagino. Dai, si farà... Non ci pensare adesso. Un passo alla volta”
“Sì giusto. La sua amante l’altro giorno gli ha detto: non riconoscere il bambino! O altrimenti speriamo che muoia”
“Ellamadonna! Ma no...”
“Sai che mi è venuto uno schifo? Mi veniva da piangere”
“Ma dove l’ha trovata questa? Che donna è? Cazzo meno male che è medico anche lei. Ma soprattutto scusami, ma anche lui... e te lo viene pure a dire adesso che sei in gravidanza?”
“Senza pietà”
“Guarda, ora cerca di concentrarti solo sulla tua gravidanza. Speriamo che gli esami vadano sempre tutti bene”
“Sì, speriamo. Che ansia”
“Lo capisco.”
“Mi manca il vino.”
Rido: “Sì eh?”
“Sì, tantissimo. Non ce la faccio più co 'sto crodino. Ieri eravamo al ristorante con Edoardo, abbiamo festeggiato l’eco che era andata bene...”
“Bravi”
“E lui mi metteva il bicchiere davanti! Che stronzo. Però lo faceva per ridere. Non è che sia sto gran bevitore”
“Eheh dai, tieni duro che tra un po’ ti rifarai!”
“Guarda non vedo l’ora. Ad Edoardo ieri ho anche fatto una foto. Eccolo qui. Qui ha anche un po’ l’espressione da bambino. Del resto è molto più giovane di me. Guarda che bello. Per me è bellissimo”
“Eh dai è giusto, è il tuo uomo! Deve essere bellissimo per te!”
“Si lo è secondo me. Ieri era tutto emozionato per l’ecografia”
“Dai, vedi? Magari quando nascerà il bambino sarà più centrato” rido.
“Speriamo. Lui è troppo altalenante. È anche un tipo geniale a volte”
“Ma infatti, io penso sia intelligente, ha un sacco di interessi”
“Sì, è così. Però ha l’amante. E me ne parla pure”
“Ehhh cosa ti devo dire. Almeno lui è geniale. Pensa quelle che si fanno tradire da uomini mediocri, manco geniali”
Scoppia a ridere. Le si muove tutta la pancia.
“Cacchio hai ragione!! Almeno lui è geniale, almeno questo” ride irrefrenabilmente.
“Ma sì, infatti, vedi il lato positivo no?”
Ridiamo.
Aggiunge: “Questa gravidanza sembra aver distrutto tutto. Anche il cane e il gatto sono impazziti, sono andati fuori di testa, sul serio. Si è rotta l’armonia. Io spero che le cose si aggiustino. Che Edoardo prenda le sue decisioni, qualunque siano, ma che le prenda, per carità di Dio.”
Guardo questa donna. Col pancione della gravidanza a 48 anni. In una relazione con un tizio che c’avrà anche un lavoro importante ma che mi sembra rassicurante quanto Norman Bates e che ha pure scelto come donatore per concepire un bambino inseminato artificialmente. E poi penso a lui, al bambino, che si troverà sbalzato in questo contesto…pure il gatto e il cane già lo odiano, cazz, peggio di così. 
Riguardo questa donna. La sua mi sembra un’impresa talmente squinternata da meritare del tifo, forse, alla fine. Ha un’ostinazione tale nel perseguire ciò che ha desiderato sopra ogni cosa che non mi sento di muovere critiche di sorta. In fondo non siamo nessuno per giudicare i desideri degli altri.
“Ma dai cara, sicuramente... state per avere un figlio insieme... è stato un bimbo cercato, voluto”
“Lo spero”
“Speriamo in bene dai. Stai tranquilla. Pensa a quando nascerà che felicità…” Io che faccio l’elogio della maternità buongesù, sono proprio la persona adeguata. Ma evidentemente riesco ad essere convincente. Lei sorride. Ottimo. Del resto era quello che volevo comunicarle per davvero. “Dai pensaci, sei al quarto mese… Tra un po’ il più sarà fatto. Pensa alla felicità che proverai quando lo avrai così piccino tra le braccia!”
Continua a sorridermi. Si rasserena per un istante.

Ma soprattutto, penso dentro di me, pensa al momento in cui potrai farti di nuovo un calice di rosso, ché dopo questa chiacchierata ne sento un po' il bisogno pure io.



Milano, ottobre 2018

domenica 3 marzo 2019

Magari domani capiremo


Catalogo dei viventi/1


“Guardi, credo sia da girare sa? Da qui, dalla manovella”
Il mio interlocutore mi guarda, ascolta e poi esegue silenzioso. Afferra la manovella con circospezione e inizia a farla girare delicatamente. Nell’opera, una vasca di vetro colma d’acqua, si scatena una tempesta di sabbia e parte una musica dolcissima e malinconica. Le casette immerse nell’acqua quasi scompaiono in mezzo alla bufera che si solleva. E quando la carica della manovella è finita, anche la musica finisce, la sabbia smette di agitarsi nell’acqua per ridepositarsi sul fondo, e il paesaggio che rimane è quello di un quartiere di palazzi tutti uguali, disabitati, silenziosi, avvolto in una quiete immobile.
Dico: “Non le pare che raffiguri uno scenario post nucleare? Le case sembrano abbandonate, con le luci ancora accese...”
Il mio interlocutore si volta verso di me per poi sprofondare in un rimuginio.
È un uomo, età tra 60-70 ed ha il pizzetto giallo. La sua barba, il suo pizzetto, è colorato di giallo. Non biondo, non tinto. Giallo. Tipo color uovo sbattuto. Giuro. Per il resto, in questo agosto milanese, sembra un uomo normale: ha pochi capelli bianchi, baffi bianchi, gli occhiali, una fronte solcata da rughe intelligenti, un bel po’ di pancia che tende la sua casacca kaki coi bottoni, pantaloni chiari di lino e una collana d’oro. E poi ha questo pizzetto giallo. Uno scherzo? Un attore reduce da uno spettacolo teatrale? Al sabato mattina? Non importa. Io comunque davanti a Organetto, l’opera di Alexander Brodsky al Pac, alla mostra Russkoe Bednoe, ho attaccato bottone. Lui non sapeva che bisognava girare la manovella, prima.
“Tipo Chernobyl dice?”
“Esatto. Guardi queste case, tutte uguali. In questo paesaggio desolante. E poi sono rimaste accese le luci, ma non sembra che ci sia vita, anzi. Sembra una città abbandonata”
“Ha ragione. Non mi sarebbe venuto in mente. Io ci sono stato a Chernobyl. Fu un bel traffico ottenere i visti e le autorizzazioni per andarci. Alla fine ce l’ho fatta”
“Davvero è stato a Chernobyl?”
“Sì. Tempo fa. Sa che la città è circondata da soldati? Ci sono soldati con le auto che presiedono tutti i punti di accesso alla città, dappertutto. Non devono fare entrare nessuno. E se arrivi lì ti controllano i documenti. Sono pieni di vodka. Hanno le bottiglie in macchina e bevono. Bevono in continuazione. Lo fanno perché così pensano di non ammalarsi di cancro. Lì è ancora tutto radioattivo”
“Ehh immagino. Fu una cosa grossa. Una tragedia totale”
“Sì, loro bevono la vodka e pensano che l’alcool gli salvi la tiroide. Il primo cancro che viene è quello”.
Il mio interlocutore con la barba gialla le spara grosse, anche se non se la tira. Dice di essere stato a Chernobyl. Potrebbe essere una balla, istintivamente però gli credo. Sto credendo a tutto quello che mi dice, stiamo comunicando con una nuda e semplice spontaneità tra esseri umani che non sembra lasciare spazio ai travestimenti delle menzogne. Che fatica, raccontare le bugie. Che fatica, inventarsi delle panzane. Qui invece sembra tutto molto semplice.
“Cavolo” dico io.
“Eh sì. È strana Chernobyl. È strano quel paesaggio. Vede, la natura si riprende tutto”.
“Ah sì? Cioè?”
“Praticamente la città è disabitata. Ma la natura è esplosa. Tra i palazzi, la natura è esplosa. Ma è una natura strana. Non è una natura normale. Ad esempio c’è questa vegetazione di un verde acceso, innaturale. Un verde che non ho mai visto.”
“Davvero?”
“Sì, un verde veleno! A me sono venute in mente le palline di veleno per topi, ha presente? Di quel verde innaturale. Ho fatto questo collegamento. C’è quest’erbetta di quel colore. Quando l’ho visto ci ho pensato subito al veleno. Dà l’idea proprio di tossico, di nocivo. Di qualcosa che fa male. Un colore artificiale, strano”
“Mamma mia. Pazzesco”
“Sì. Comunque ha ragione” e si volta a guardare l’opera, la vasca colma d’acqua con le sue casette tristi. “Sembra proprio una città post atomica. Non ci avevo pensato”
“Ma guardi, non lo so, mi è venuto in mente così.”
“Invece no, ha ragione. Bè, la ringrazio per questa la chiacchierata.”
“Ma grazie a lei”.
“Le auguro buon proseguimento” e nel dirlo fa un passo indietro mentre si congeda. Una mossa a metà tra il Tartuffo di Molière e un gesto di cavalleria d’altri tempi. Ci allontaniamo.
Riprendo a vagare per gli ambienti del Pac. Guardo le opere, assecondo lo sgorgare di pensieri e interpretazioni che posso dare a ciascuna.
“Signorina, mi scusi, non voglio importunarla”
È ancora lui.
“Ma scherza, figuriamoci. Mi dica”
“Vede, io avrei una domanda per lei. Lei è qui, sta vedendo questa mostra... cosa ne pensa? Cosa ne pensa di queste opere? Io in realtà sono un po’ smarrito. Faccio un po’ fatica a capire” dice con lo smarrimento intellettuale di chi ha troppe, troppe piste in testa da seguire, e si aspetta che l’artista faccia lo sforzo di disvelarti il senso dell’opera. Io così lo sono diventata poi. L’ermetismo eccessivo nell’arte contemporanea alla fine ti annoia. E finisci a chiederti se un senso ci sia davvero o meno. Ma allora ero giovane.
“Mah guardi, io devo ammettere di essere un po’ di bocca buona. Tutta l’arte mi incuriosisce. E poi l’arte e gli artisti sono avanti. Non mi aspetto di capire tutto. E soprattutto: probabilmente io non ci arrivo, ma chi verrà dopo di me magari invece capirà... in futuro intendo. Gli artisti sono avanti.”
“È giusto signorina, la ringrazio per la sua opinione. Ma onestamente quando di fronte a un’opera come questa vado a cercare il titolo per avere un indizio, un aggancio, una spia, e leggo “Senza titolo”... un po’ mi sento preso in giro”
Rido.
Gli dico ancora ridendo: “Ha ragione anche lei!”
Lui mi risponde: “Ma no sa, sarà un limite mio... però il dubbio mi viene!”
Sorridiamo.
“Ma infatti, è così, ha ragione. Oppure magari domani capiremo”
Rimaniamo in silenzio a guardare l’opera di arte russa contemporanea intitolata Senza titolo.
“Mi scusi ancora signorina, è stato un piacere parlare con lei, è stata così gentile e disponibile”
“Ma scherza, grazie a lei. Arrivederci”
“Arrivederci”
Di nuovo quel passo all’indietro per congedarsi e si allontana. Pantaloni chiari, casacca kaki. E il suo pizzetto giallo.
Magari domani capiremo. 



Milano, agosto 2011