Cari amici del bloggo, eccoci a una nuova
puntatona della nostra rubrica del piccione, che intendiamo iberizzare per
l’occasione in El rubro de la paloma, in quanto ciò che stiamo per raccontare
ha a che fare proprio con la España.
Ma come, qui, a Milano? Ebbene sì.
Che ci racconta il piccione Ambrogio,
cos’ha visto con quei suoi occhietti persi?
Ci racconta d’un incontro occorso
pochi giorni fa in quel della Fondazione Feltrinelli, sita in via Romagnosi, traversa
di via Manzoni lato Teatro alla Scala, per raggiungere la quale si effettua
insomma già una una piacevole camminata per le vie della città mediolanense. Protagonista
dell’iniziativa era Juan Carlos Monedero, madrileno, ideologo e fondatore del
partito di Podemos. Insomma, avrete già capito perché si trattava d’una cosa
imperdibile.
E valore aggiunto dell’iniziativa era
la presenza d’un moderatore d’eccezione, come recitava la locandina
dell’incontro “sociologo presso l’Università Bicocca di Milano”, ma
anche grande amico del mio cognato, una di quelle splendide e rare amicizie che
si nutrono d’una felice comunione di idee, pensieri, militanza, quelle amicizie
che riescono meravigliosamente non solo a sopravvivere ma proprio a vivere, nel corso
degli anni, anche se i protagonisti hanno magari mutato – tra lavoro, luoghi,
famiglia – le condizioni di vita in cui l’amicizia era primigeniamente nata. Ma
in effetti, a meno che non siate degli strunzi, è molto difficile perdere
l’amicizia del mio cognato, che è persona attenta, altruista, generosa. Quanto
al nostro ricercatore, si può dire che, anche nella dimensione d’un incontro fugace, ne apprezzerete a pieno la genuina comunicatività, l’empatia,
la voglia sincera di sintonizzarsi sull’altro. Ottime premesse insomma per
affinare il naso e la vista d’un sociologo.
Peccato solo che, nella grande,
fluviale, positiva facondia del buon Monedero, lo spazio per i comprimari
moderatori del dibattito sia stato un po’ risicato; ma dal quel poco è
ugualmente brillata la qualità dell’intervento del nostro.
Ma andiam con ordine.
Appuntamento alle 17.20 (non
e un quarto o emmezza, proprio e20,
badate) con i miei soliti, fantastici sodali, i miei compagni d’avventura, per
prepararsi alla traversata della città via metropolitana. Ci si saluta, si
cazza allegramente e c’è tempo pure per agguantare al volo un paio di
quadrifogli nel sozzo ma comunque verdissimo praticello dell’amena fermata di
Uruguay. Saliamo a bordo d’un nuovo treno della rossa, meta piazza Duomo, per
poi raggiungere a piedi il luogo dell’incontro, fissato per le ore 18. Potevamo
per caso arrivare in ritardo a un appuntamento come questo? ¡Sí que podemos! Ci
sono io, è chiaro che arriveremo in ritardo! Sicché giungiamo in corner alla
Fondazione Feltrinelli e la saletta è quasi tutta piena... Ma il buon vecchio
trucco funziona sempre: basta far vedere che conosciamo personalmente il
relatore, che siamo amici allui, e immantinente dei paggi solerti
approntano tre sediole per le nostre terga scultoree, accendono un ventilatore
per ristorarci e ci offrono anche delle bollicine d'annata. Questo no,
scherzavo. La storia dello champagne è una balla. Ad ogni modo riusciamo dunque a prender comodamente posto a incontro con sommo
culo non ancora incipiato.
Ed ecco che… dopo una breve attesa (durante
la quale riconosco nel pubblico pure la mia dolcissima profesora Concha,
insegnante di spagnolo all’Instituto Cervantes – che meraviglia trovarla qui!) Juan
Carlos Monedero finalmente fa la sua entrée nella sala. Di nero vestito, in
occhiali rotondi e gilet, incarnato nelle fattezze di Pino Strabioli. Ci piace
Pino Strabioli! Ma alla fine ci piacerà un sacco anche Monedero.
Passo felpato, batte le mani verso il
pubblico suscitando l’applauso, col fare stilizzato d’un ballerino di flamenco…
Mi perdoni per il paragone, comunque c’è molta spagnolità in lui, molta teatralità concentrata, ecco.
E poi incomincia. Non a ballare,
ebbene no, ma a parlare, seduto nella cornice della Fondazione Feltrinelli e
dei suoi tomi storici, incasellati in mensole bianche incassate che perimetrano
le pareti circolari della sala. E che dice, signori.
Ora, non starò certo qui a riportar
malamente quanto cristallinamente enunciato dal buon Monedero, in quanto col
mio sommario e impreciso resoconto rischierei giustamente di farlo incacchiare
più ancora che per avergli dato del flamenchero, e sia mai ch’io incarni la
pratica, descritta da Galalai Galalaia nell’incipit del suo Saggiatore, invalsa, presso chi è ignorante in una tal
materia, di voler proprio di quella risolutamente discorrere; anche perché
ottimi libri e ottimi articoli – anche
del nostro esimio sociologo, sapevatelo! – sono stati vergati al riguardo,
con evidente maggiore scientificità di quella che la cojoncella scrivente potrebbe
quivi profondere con la sua insipienza. Eppoi val sempre buona
l’asserzione tratta dal Tractatus wittgensteiniano per la quale 'su ciò di cui non
si è in grado di parlare, si deve tacere' – che messa qui così sembra il
consiglio d’una nonna di buon senso, e invece.
Purtuttavia è interessante appuntare,
in questa nostra rubrichetta de la paloma, in forma di note sparse, qualche
spunto et suggestione offertici dal Juan Carlos, coll’obbiettivo quantomeno di
inquadrare la vicenda di Podemos, nonché di intendere e carpirne i segreti con
l’auspicio d’una sua replicabilità.
Perché, d’altra parte, è di questo che parliamo. Amici spagnoli, orsù, siate generosi, diteci, come minchia avete fatto?
Ed ecco che, in uno spagnolo declamato
(anche questo teatrale assai, è evidente che il nostro ci sa fare – non per
nulla è stato uno dei protagonisti della Tuerka), frase per frase, in una
scansione dettata da pause utili alla traduzione, il buon Juan Carlos rende a
poco a poco il suo spagnolo comprensibile, magicamente e misteriosamente
comprensibile, coinvolgendoci, da bravo affabulatore, nel racconto della
nascita di Podemos, ma soprattutto nella vivida descrizione del sostrato economico
e pure emotivo che ne ha costituito fondamentale premessa; che è quello sul quale
il movimento-partito di Podemos ha saputo tracciare un orizzonte di
partecipazione, adesione e azione chiaro, netto, necessario.
Dando una risposta a chi si sentiva in
colpa per aver perso, per una legge ingiusta e terribile, oltre i limiti del
disumano, la propria casa. Dando una risposta a chi si sentiva in colpa per non
avere un lavoro, o per averlo precario (d’altra parte, “se non ti sei messo a studiare cinese su
internet alle cinque del mattino, come credi d’aver diritto a rivendicare un
lavoro?” – eccerto). Dando una risposta a chi s’affannava a capire come
‘investire’ su sé stesso, ragionando sulla propria ‘redditività’, e sulla
propria spendibilità e collocabilità nel mercato del lavoro: un repertorio
lessicale mutuato acquiescentemente, senza averne coscienza, dal sistema del capitale, ove ogni cosa è merce. Ad indicare quanto ci siamo
finiti dentro, fino al collo, e senza accorgercene. Una bella, inquietante
riflessione sulla mercificazione e monetizzazione delle cose. Di ogni cosa (e
detto da uno che si chiama Monedero cioè portamonete eheh – come vedete la mia demenza non ha davvero limiti,
abbiate pietà). Perfino le emozioni, perfino noi stessi. Noi stessi. C’è un
sacco di Marx nelle parole di Monedero, ed è una vera gioia del quoricino ascoltarlo.
Dando una risposta insomma a chi era
preda del miedo. Della paura. A
quella gente ‘decente’ – come recita il titolo del suo libro – che non vuole e non
se la sente di recidere del tutto i legami, fattisi esili quanto il filo di
bava d’una ragnatela, della solidarietà sociale. Del collettivo. E in tempi
così duri. Gente decente che non vuole essere mangiata, ma non vuole neanche
mangiare. Quelle persone buone vivaddio non individualiste. Ché alla fine lo dicon
pure gli adagi popolari: l’unione fa la forza.
Come è riuscita Podemos in tutto ciò?
E in quel ‘come’ c’è dentro un mondo. Un mondo sterminato di speranze anche
nostre.
La ricetta non è semplice. In punti sparsi:
guardare all’esperienza dell’America Latina. A Chavez ad esempio (e qua soddisfatti
ammiccamenti a gogo tra il cognato nel pubblico e l’amico ricercatore: grande
scena!). Evitare di parlare di ‘destra’ e ‘sinistra’ (ribaltamento dei miei
intestini, ma poi Monedero spiega meglio e si fa quasi perdonare – quasi). Avvicinarsi
alla ‘mayoría silenciosa’, e farlo con impegno, attraverso tutti i canali.
Non solo l’internet, appannaggio vieppiù d’una popolazione ciovane, ma anche attraverso la televisione. La Tuerka Tv e i suoi
programmi hanno contribuito a far conoscere i volti delle donne e degli uomini
di Podemos, le loro parole, le loro idee. Le loro posizioni. E, naturalmente,
grande capacità di Podemos è stata quella di raccogliere l’eredità di un
movimento grande e partecipato come il Movimiento 15-M, quello degli indignati.
E non era facile incanalare le energie e le nuove coscienze liberatesi in quel
momento. Eppure Podemos ce la sta facendo; ma come spiega Monedero ci vuole
pure una buona dose di fortuna, di caso favorevole. Non sempre bastano solo gli
elementi giusti. È così anche nelle fiabe, del resto: un re incontra una
principessa… d’accordo, ma appunto si devono incontrare. E comunque, ha chiosato Monedero, “a me i re piacciono
solo nelle fiabe”. E buongesù, quanto non essere d’accordo con lui (e detto da
uno con un nome da monarca spagnolo… ok
ok la smetto).
Ultimissima nota, e qui entra in gioco
il nostro sociologo, è quella che inerisce la natura felicemente ibrida di
partito-movimento di Podemos. Perché un partito ha sempre bisogno dell’ossigeno
vitale d’una innervatura sociale; e perché un movimento ha sempre bisogno d’una
spinta trainante dall’alto, senza la quale piazze piene rimangono inascoltate
da governi che, appunto, ‘vanno avanti’. Riassumo molto, impoverendola di
parecchio, una bella disamina del nostro ricercatore bicocchiano. Si può fare
anche qui? Tutto ciò si può fare anche qui, dove abbiamo vissuto un’atomizzazione
della sinistra come neanche le chiese giudaiche in Brian di Nazareth, paragone
di Monedero, che è uno scoppiettante e divertente oratore?
La risposta passa per l’avveramento di
tutte le condizione enunciate dal buon Monedero. Ma il nostro amico sociologo
per certi versi ci rassicura: indicandoci esperienze importanti e belle come i
movimenti no tav, no muos e quello contro la privatizzazione della gestione
dell’acqua. Grandi battaglie agite da persone con una coscienza, persone
decenti che non si sono mosse nella logica dell’intoccabilità del proprio giardino,
deviando da una prerogativa nimby, individualista, ma riuscendo al contrario a
creare un prezioso network di lotte, di contestazioni, di battaglie non isolate
ma vicine, unite, sovrapponibili. Partecipate insieme, in una logica
collettiva. È questo fermento che va coltivato, sperando di averne forza e
intelligenza, come le donne e gli uomini di Podemos. Per il lavoro, per la
casa, per la salute, per l’ambiente, per tutti quei diritti fondamentali
dell’uomo enunciati in modo avanzato nella Dichiarazione universale dei diritti umani del ’48.
Con forza, dicevamo, e intelligenza. E – ha sottolineato più volte Monedero –
anche con emoción… Del resto semo latini, ci vogliamo mettere un po’ di corazón?
Questa rubrica del piccione ha voluto
dare conto di questo, di una importante e utile conversazione che si è svolta
in Milano appena qualche sera fa, nella cornice limpida e tranquilla di uno
degli ultimi giorni di questa ormai conclusa primavera. Il teatro, come
ricordato, è stato la Fondazione Feltrinelli: un luogo che rende giustizia al
suo nome ricordando chi era davvero Feltrinelli, 'bibliofilo ideologico', come chi lo conosce bene lo definì, che sarà pure stato un padre
padrone, come lo descrivono i collaboratori dell’epoca, ma che non avrebbe mai
pasteggiato da Reds sotto l’Unicredit con in mano un libro di Pansa. La Biblioteca
Feltrinelli nasceva come archivio di documenti e testi sul socialismo
internazionale e sul movimento operaio. Questo aveva in testa Giangiacomo.
Dall’inizio alla fine: il suo ultimo irrealizzato progetto, inseguito a lungo e
concepito durante i suoi viaggi a Cuba, ove spostò il
baricentro della sua identità da editore a militante, d’un libro-diario di
Fidel Castro, buondio ce lo conferma. E per carità, è vero che non disdegnò di dedicarsi
a quella che egli stesso chiamava ‘letteratura di consumo’; ma cristoddeo, la
letteratura di consumo di allora erano gli autori latino-americani e la
narrativa europea (scovati grazie a cacciatori di libri che erano scrittori
essi stessi nonché editati e tradotti da gente come Bianciardi, Bianciardi signori,
mannaggia la mignotta!). Mica l’oroscopo, le biografie di Brosio, la ‘letteratura
femminile’ (oh, giuro che è chiamata così all’interno delle Feltrinelli!) e la
dieta del muco. Che poi è tutta la merda che impesta, oggi, le commercialissime
librerie che di Giangiacomo Feltrinelli portano il cognome. Voglio dire,
allora questa merda me la compro in Esselunga, che tanto c'è anche lì e costa
pure di meno. Per questo è stata pura gioia, al termine dell’incontro,
avvicinarmi alle succitate mensole piene di libri che facevano da fondale ai
relatori e leggere sul dorso largo del primo, vecchio librone rilegato guardato
a caso: “Compère-Morel. Grand Dictionnaire Socialiste”.
Una visione per me bellissima e pure
un po’ emozionantella, ciliegina d’un pomeriggio-sera milanese in ottima
compagnia e pieno di belle parole, intenso, utile e ossigenante. Vero.
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Notasi posa flamenco di Monedero e a sinistra (sinistra ovviamente) il nostro sociologo
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