domenica 8 febbraio 2015

Antico e nuovo, blasonato e popolare: il parco di Villa Scheibler


Perimetrato da un muro grigio un po’ malmesso e bruttarello, il parco di Villa Scheibler è, al contrario, una ricca, verde sorpresa ritagliata tra le vie in entrata e uscita dal popoloso quartiere di Quarto Oggiaro, rione milanese ingiustamente di malfama nel quale, per dire, al netto credo circoli meno cocaina che nel blasonato covso Como.
Ma non disperdiamoci già alle prime righe. Il parco in questione è, si intenderà, dunque parco periferico, di quartiere, cosa che potrebbe indurre a pensare trattarsi d’un parco nuovo. E invece nossignori. Il verde che qui vediamo è discendente antico d’una preesistente area silvestre, distribuita attorno a una villa, datata all’incirca alla seconda metà del Quattrocento. Tale villa era, ai tempi, tenuta di caccia di Ludovico il Moro, Dux Mediolani, che, tra l’avvelenamento o la sconfitta alle armi di qualche suo inviso congiunto, i progetti d’espansione dei suoi domini, l’acquisto di titoli nobiliari e l’attività di mecenate di alcuni tra i più grandi artisti del suo tempo, trovava come vediamo anche il tempo per dedicarsi a qualche giochetto venatorio. E noi che dopo sette ore di lavoro abbiamo solo la forza di buttarci sul letto a quattro di bastoni! Ma in ogni caso, il fatto che si trattasse d’un casino di caccia, è illuminante per immaginare come fosse un tempo, secoli fa, la zona che oggi è divenuta di Milano la più popolosa, quella massicciamente cementificata della periferia e dell’hinterland: boschiva.

Il corpus edilizio, che includeva un’area destinata a scuderia e una chiesa, fu poi rimaneggiato e ampliato nel corso del Settecento, divenendo in seguito abitazione della famiglia Scheibler, di cui oggi villa e parco recano il nome; e questa fu l’ultima proprietà privata dell’edificio, lasciato in dono al comune di Milano.
Grazie a un poderoso restauro completato qualche anno orsono, la villa si staglia ora allo sguardo dell’osservatore in tutta la sua ferma bellezza, nel biancore (oggi) delle sue semplici ma a loro modo magniloquenti simmetrie, già bella nel prospetto affacciato al parco ma ancora più nobile nell’ingresso opposto, preceduto da un’ampia corte e visibile dalla strada attraverso un cancello in ferro battuto. Davvero è incredibile trovare, in quella che è oggi suburbia, un simile, piccolo gioiello, capace di deliziare il visitatore sensibile a questi doni del caso, che l’ha conservata e protetta sino ad oggi, e della Storia. E come vediamo la storia di questa villa è anche parecchio prestigiosa, avvinta alle fortune del signore che, certo discutibile in vari aspetti della sua condotta, rese purtuttavia Milano una regina italica del Rinascimento.

Il parco della villa, anch’esso sottoposto a un bell’intervento di recupero, si presenta oggi come un ampio giardino, molto semplice e raccolto, con i suoi vialetti, le panchine verdi, e alberi, alberi, alberi e ancora alberi, che in estate creano zone di preziosa frescura, e aree attrezzate dedicate a cosi movimentati come cani e bambini.
Il viale principale del parco conduce dritto dritto all’ingresso della Villa, in un punto di fuga perfettamente simmetrico e bilanciato altamente suggestivo. La simmetria della visuale è rafforzata dalla presenza d’una bella fontana a quattro vasche, con altrettanti zampilli centrali d’acqua che reiterano un gioco di gettito ora più intenso ora meno intenso, in perfetta sincronia: sembra quasi un numero di nuoto sincronizzato.
Attorno alla fontana, che è, benché decentrata, il vero cuore, pulsante, di questo parco delizioso, corrono dei sedili, come a creare uno spazio di raccolta e incontro, il cui schienale è costituito da scritte, sì, scritte in ferro verde, che ci indicano che quella che abbiamo di fronte, ebbene, è proprio la fontana di villa Scheibler; quasi delle didascalie brechtiane, a indicare il luogo in cui si svolge la nostra azione. Veramente bellissime queste sedute, un riuscitissimo colpaccio di desain. E alle spalle di queste panchine, per finire in bellezza, dei cespugli di rose canine di vari colori, bianche, avorio, rosa e rosse. Che romanticheria!

Personalmente al parco di Villa Scheibler ci ho fatto un sacco di cose carucce. Una colazione con tutta la mia famigliola. Ci ho giocato a frisbee, ma mica da mocciosa, in età adulta (bè bè, età adulta, non vorrei strafare nell’attribuirmi questo status cerebrale). Ho fatto molteplici passeggiate in beata solitudo, alcune delle quali finalizzate a raggiungere la biblioteca rionale di Quarto Oggiaro, i cui bibliotecari peraltro amano perculare i colleghi di Accursio (lo sapevano questo i bibliotecari di Accursio?). Poi ci ho fatto un pic nic, davanti alla fontana, con la persona del mi corazon, rimanendo ambedue estasiati dalle prodezze inconsulte d'un bamboccino cinese armato di spadino e sbilanciato dal suo bellissimo capoccione. Un vero fenomeno, vestito a festa per il Capodanno cinese, seguito a vista dalla mamma, giustamente infusa d’orgoglio per aver generato una simile prodigiosa creatura.
Eppoi vi ricordo – ebbene sì – momenti di studio (incredibile, cioè, momenti della mia vita in cui sono stata a studiare, pazzesco!), e più precisamente ricordo una pausa dallo studio (eheh) con bevuta d’un succhetto alla pesca, proprio come un bambino delle elementari. Certo questo ricordo può parere insignificante, ma per me non lo è; era un bel pomeriggio d’agosto, superbamente soleggiato e mosso da aria buona, e avevo con me la dispensa sul libro antico per Storia della stampa e dell’editoria. Esame da 30 e lode (li frego bene), per inciso l’ultimo dato, tempo fa… ma non l’ultimo da dare, e questo perché sono una brava cugghiuna.
E poi ancora, isolando un altro caro ricordo, fu al parco di Villa Scheibler, stavolta in un giorno estivo davvero canicolare, che sentii parlare per la prima volta d’una persona che è oggi parte del prezioserrimo paesaggio umano intorno a me; citata da una nostra allora comune conoscente, che, come spesso accade, oggi entrambe non frequentiamo più.

Ora, al di là delle sue blasonate origini, il parco ha oggi questo di speciale: essere un  parco semplice in fondo, ma assai curato nei suoi dettagli, luogo ameno in cui potersi rilassare, e prendere una pausa, ossigenandosi in un’area verde preziosamente alberata. Un bel parco insomma, ma ciò che è forse più bello è il fatto che si tratti d’un parco di periferia: un parco che per molti dunque non è da raggiungere, ma che è di strada, a due passi da casa. Sottocasa addirittura per qualcuno. Un parco che, da solo, coi suoi viali, le sue panchine, la sua erba e i suoi alberi, e niente di più, e davvero niente di più, ci ricorda che non siamo uomini a una dimensione, ma che possiamo resistere cacchio, perché il tempo libero è la nostra rivincita sul capitale, e il tempo libero in un parco è la nostra vittoria contro chi vorrebbe appiattirci nel ruolo monodimensionale di consumatori.
E se è vero che Quarto Oggiaro non è così invivibile come lo si vuole giornalisticamente considerare, è però pur vero, e non si può negare, che costituisce una delle periferie più povere e dunque difficili di Milano (oddio, ho scritto sul serio periferia difficile? gesù). Per questo è bello vedere il parco popolato da bambini e genitori, ragazzini, donne e uomini di variegata provenienza, intraitalica – difficile trovarci un milanès di quelli veri –, comunitaria o extracomunitaria. Perché se esiste un lembo di società che può ancora recuperare una coscienza rivoluzionaria è questo. Gli anti-sistema, oggi, possono essere solo costoro: quelli che sono, nei fatti, fuori dal sistema, esclusi o lasciati ai margini di esso. Gli emarginati, gli invisibili, i derelitti, le persone dal passato complicato, quelle che hanno cambiato suolo sotto ai piedi, e che ora, altrove, si applicano con fatica a riannodare le redini della loro esistenza e a ricollocare la propria identità. Ma consapevoli; ed è da costoro che può avviarsi il moto rivoluzionario: perché come scrive appunto Marcuse ne L’uomo a una dimensione, a sua volta citando Benjamin: “È solo per merito dei disperati che ci è data una speranza”.

Al parco di Villa Scheibler, questa speranza, le persone semplici che incontri, ognuna con la propria, lontana storia ma tutti lì in quel momento, a godere del verde vicino casa, a respirare lontano dal traffico, a sorridere delle cose buffe fatte dai bambini e a scaldarsi al sole, questa speranza, le persone che incontri, se la portano inconsapevolmente addosso, e un po’ te la trasmettono. 







2 commenti:

  1. La capacità di dare profondità alle cose semplici è una qualità rara. Lei, mia cara Bugnato, dimostra di averne a pacchi.

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    1. Vede, i luoghi si ammantano d’importanza e profondità in ragione del nostro sguardo, il merito della cui lunghezza ed estensione va non a noi, ma a chi ci ha accompagnato nella scoperta e nel ritorno. Per cui grazie Pinco. Anche, e tanto, a lei.

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