I giardini della Guastalla sono un altro luogo che rende bella Milano, e che ci consente di proseguire il nostro descubrimiento del sottostimato verde cittadino. Sicché bisogna anzitutto dire che questo parchetto fu il primo tra i giardini pubblici milanesi, il più antico, realizzato nel lontanissimo 1555, mentre insomma l’Europa cattolica era percorsa da quello che i sudditi di sua maestà il papa chiamavano morbo protestante. Chissà che faceva in quell’anno il buon Gert dal Pozzo, protagonista del romanzoneoneone Q, le cui vicende avventurose sono incuneate giusto giusto in quei decenni lì. Forse se ne stava già ad Istanbul. Ma se fosse passato a Milano nel suo lungo peregrinare avrebbe potuto riposare le ossa in questo silenzioso e delicato fazzoletto di verde, scavalcandone con facilità il cancello.
In
origine il parco della Guastalla era il giardino privato d’un collegio di pie
fanciulle, e mutua il suo nome dalla benefattrice che, rimasta vedova assai
giovane, ne fu fondatrice ed ospite ella stessa. Solo in pieno Novecento il
parco venne espropriato dal Comune e aperto alla cittadinanza, inaugurato nel
1939.
Il giardino della Guastalla come appare oggi è un tesoro nascosto da una cancellata. È incastonato a sorpresa tra le rettilinee delle strade adiacenti. Di speciale ha l’erba verde, d’un verde tenero, i sentieri sterrati, le panchine di legno e di pietra e l’atmosfera inattesa, inconfondibilmente quieta e ovattata, che solo i parchi in centro e a ridosso di corsie trafficate possono offrire.
Si
scende una breve scalinata per entrarci: ed è già meraviglia. Allo sguardo si
apre una peschiera, una spettacolare vascona rettangolare delimitata da una
serrata balaustra di granito poroso e da una recinzione in ferro battuto, in
una doppia, sensuale sequenza di angoli e curve. A primavera le siepi di rose
canine che la circondano esplodono in macchie rosse. Risale al Seicento,
conserva intatta tutta la sinuosità barocca e trovarsela davanti è gioia per
gli occhi. Non te lo aspetti questo specchio d’acqua d’antica memoria, là in
mezzo. Passeggiando lungo il percorso botanico si incontrano statue
meravigliosamente aggredite dal muschio, che ha ricamato sui loro fianchi sottilissimi
abiti verdi; e c’è pure un tempietto neoclassico, invero un po’ male in arnese
oggidì, ma comunque pur sempre opera architettonica del buon Cagnola che,
sapevatelo, fu il progettista dell’Arco della Pace.
Al
parco della Guastalla ho trascorso parecchie domeniche di quando ero giovine,
quasi una sbarba rispetto a ora. Le sue panchine sono anche state il teatro di mattacchione
cene en plein air svoltesi nella dimensione numerica d’un quartetto d’amici che
allora sembrava inseparabile… e invece. E invece abbiam perso un elemento per
strada, ma poco male. La vita è come una marea che sommerge (quasi) tutto, e
superate le delusioni e anche qualche incazzatura posso dire che, del quartetto
che fu, è rimasto un terzetto superior,
e accanto mi sono rimaste le persone migliori. Due persone speciali, dolcissime, generose, toccate
dalla grazia di quei doni rari ed elevatissimi che sono ironia, intelligenza, e
naturale voglia di condivisione. Mica le virtù teologali insomma. Eppoi al
parco della Guastalla vi son successe varie altre cose molto importanti per me.
Se ci vai di pomeriggio ci trovi barboni sdraiati per il lungo sulle panchine, cani di ogni tipologia, padroni di cani di ogni tipologia, forzati della corsetta e irriducibili dell’informatica in mobilità. Anche persone immerse nel piacere: gente che legge o coppie di innamorati.
La storia tra mi e il mi ragazzo si può dire sia incominciata
qui, perché è qui che il cazzare idiota delle più belle amicizie si è
trasformato nel meraviglioso, cazzare idiota tra due persone che capiscono di
aver voglia di stare insieme. Una bella cornice per l’inizio di una storia, la
Guastalla, ma non c’è stato alcun pilotato programma estetico in ciò (ma qualcuno
crede davvero ch’io sia in grado di programmare qualcheduna cosa, mi dimando?):
sul serio, è accaduto tutto in maniera perfettamente casuale. Seduti sull’erba,
in un caldo giorno d’agosto che ha licenziato subito dopo un lievissima e
tiepida pioggerella. Ed è quello che ricordo assai bene di quella giornata: noi
due, l’erba verde, d’un verde tenero, vari cani a destra e a manca e a volte
pure in rapido avvicinamento (giusto per smorzare il quadretto troppo
romanticone eh), il giardino della
Guastalla tutto intorno a noi e le sottili e rade gocce di pioggia finite a
confondersi nell’acqua della vasca peschiera. Ed è stato il giorno dopo che ho
ricevuto in regalo Q, dei Wu Ming,
allora Luther Blissett. E penso che sì, nel 1555, prima di rimettersi in
viaggio per abbandonare l’Europa, Gert avrebbe potuto fare sosta sotto un
albero della Guastalla, e ho la presunzione di credere che, in questo
antichissimo luogo della mia città, il suo sarebbe stato un quieto e fruttuoso riposo.
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